Di questi tempi si rischia di rimpiangere la Milano degli anni Ottanta, quella passata alla storia come la Milano da bere. Sono in diversi a ricordarsene con nostalgia, non certo per i prodromi di tangentopoli, ma per quel glamour che la città esercitava a livello internazionale. Quel fascino mediatico che sotto l'ombra del Duomo ha visto nascere: la moda pret-à-porter di Giorgio Armani che in quegli anni ha inventato un nuovo modo di vestire le donne; il genio di Gianni Versace che ha creato l'immagine di una nuova femminilità; i due Dolce & Gabbana, allora giovani promesse nel mondo della moda. In quegli anni Milano era un punto di riferimento imprescindibile di stile e fascino. Oggi rimane indubbiamente la capitale della moda in termini di business. Basti fare un confronto con gli eterni rivali, i francesi. L'industria della moda italiana, di cui Milano rappresenta il cuore e il luogo simbolico di riferimento, con un fatturato di 67.6 miliardi di euro nel 2006 ha garantito un attivo commerciale all'Italia di quasi 16 miliardi che nel 2007 saliranno a 18, mentre i colleghi d'oltralpe hanno un saldo negativo di circa 3 miliardi.
Ma, da qualche anno il capoluogo lombardo sta perdendo fascino. La caduta d'appeal le sta provocando qualche disagio. Soffre della sindrome di abbandono. Qualche esempio recente può aiutare a capire che i sintomi che accusa non sono fittizi. I fuggitivi ci sono e anche eccellenti. Un'industria italianissima come quella di Benetton, lo scorso ottobre, ha scelto di festeggiare i suoi 40 anni di attività al Centre Pompidou, simbolo della pariginità. Max Mara, altra azienda fortemente italiana, a fine novembre ha festeggiato la storia dei suoi cappotti con una retrospettiva a Berlino presso il Kulturforum degli Staatliche Museen.
Il gruppo Prada dallo scorso anno ha deciso di far sfilare il proprio marchio Miu Miu sulle passerelle parigine anziché su quelle milanesi, come tradizionalmente faceva. L'anno scorso Giorgio Armani ha fatto sfilare l'Emporio Armani a Londra. Giambattista Valli, bravo stilista della nuova generazione, ha scelto Parigi, lo stesso ha fatto Antonio Berardi, dopo anni di sfilate milanesi, e farà esordire una sua nuova collezione a New York, come fa Philosophy. Quest´ultimo, marchio del gruppo Aeffe, da quest´anno lascia Milano per la grande Mela dove è in buona compagnia di Diesel e di Miss Sixty i due più grandi gruppi di moda giovane italiana che sfilano da qualche stagione a New York. Ultimo a far rotta verso la big apple è il gruppo Zegna che ha deciso di far esordire lì una sua nuova collezione di abiti.
Insomma, chi per un motivo chi per un altro, per avere un richiamo mediatico più internazionale spesso e volentieri va oltreconfine, in città con una vocazione più internazionale di Milano. Come Parigi che negli ultimi anni ha recuperato visibilità: arte, cultura e moda si sono saldati in un intreccio virtuoso tra privato e pubblico. «Il pubblico a Milano? E' latitante» pensano gli imprenditori. «Manca un pensiero forte, una strategia culturale. Tutto succede per iniziativa privata» commenta Carlo Rivetti, industriale della moda a capo della società Sportswear Company. Aggiunge: «Letizia Moratti ha fatto bene a eliminare l´assessorato della moda: meglio chiudere i battenti piuttosto che essere inutili se non dannosi».
Estratto da Affari & Finanza del 15/01/07 a cura di Pambianconews