«Siamo sessantatré discendenti di Salvatore Ferragamo, ma la nostra azienda ha sempre avuto rigide norme di autoregolamentazione, un patto di famiglia che limita a tre gli esponenti di nuova generazione ammessi in azienda, che sono mio figlio James, e i nipoti Diego e Angelica. Non ci ritiriamo. Anzi, direi che andiamo all'attacco. L'inserimento nel gruppo di Michele Norsa, che conosco bene da dieci anni, e l'approdo in Borsa, ci consentiranno di competere con i maggiori marchi del lusso che sono già quotati. L'unica strada per diventare più forti. E un'azienda forte vuol dire una famiglia forte. Ciascun erede in questo modo può scegliere di restare, o di uscire».
Niente drammi, niente litigi. Tutto è avvenuto in modo pacato, con lo stesso tono con cui racconta Ferruccio Ferragamo (nella foto), divenuto presidente della Ferragamo dopo l'arrivo di Michele Norsa, già al timone di Valentino Spa, che ha ereditato la sua carica di amministratore delegato, è anche il responsabile del progetto quotazione: un passo al quale si è arrivati dopo una lunga serie di consultazioni con tutta la famiglia, ormai diventata un esercito.
«Molto probabilmente già alla fine del 2007, ma il timing esatto lo indicheremo verso la primavera: dobbiamo valutare il momento migliore in base all'andamento delle Borse e agli altri parametri di riferimento. Ma di sicuro la famiglia resterà l'azionista di controllo», racconta. Un collocamento che dovrebbe avvicinarsi attorno al miliardo di euro. Valutazione effettuata dagli analisti utilizzando i multipli di Hermès, il marchio utilizzato come benchmark di riferimento per il piano di sviluppo triennale.
L'azienda, che il prossimo anno festeggerà 80 anni, ha raggiunto un giro d'affari di 574 milioni di euro, realizzato per la maggior parte all'estero. L'internazionalizzazione è stata sempre la punta di diamante del gruppo, che ora punta a crescere ulteriormente sui mercati asiatici, come la Cina, dove già realizza il 5% del fatturato, India e ora anche Vietnam. L'Asia già occupa il 23% dei ricavi, un altro 27% è in Giappone, e il 26% negli Stati Uniti.
Estratto da Affari & Finanza del 4/12/06 a cura di Pambianconews