La Città della moda? Un mattone
Beatrice Trussardi si è dimessa in silenzio dalla carica di vicepresidente della Fondazione Milano – Città della moda e del design, che pure era nata proprio per il suo contributo progettuale e per la volontà già espressa dal padre, Nicola Trussardi, di dare uno sviluppo strategico al sistema della moda.
Insediato il nuovo sindaco Letizia Moratti, espressione del centro-destra come il precedente Gabriele Albertini, questa giovane manager, ha deciso di ritirarsi, non condividendo più la gestione del progetto. «Convivere con la politica è molto difficile perché le cose finiscono inevitabilmente per trasformarsi». Ora, della Fondazione Città della moda fanno parte la Fondazione Nicola Trussardi, la Camera della moda, Regione, Provincia, Comune, la Fondazione Cariplo e dell'Ente Fiera di Milano, e la Camera di commercio: tutte le istituzioni locali che sono lo specchio fedele del potere in città e che gestiscono il calendario delle scadenze anche con un fine senso politico.
Così, è stato velocissimo e si è concluso il 4 aprile scorso, prima della tornata elettorale, il concorso per la progettazione del Museo e della Scuola di moda, che rappresentano la parte culturale dell'imponente piano di riqualificazione urbana Garibaldi-Repubblica. Dettata probabilmente dall'esigenza di muoversi in fretta, è sembrata anche la scelta della giuria, composta da rappresentanti degli Ordini professionali e del mondo accademico, del Comune e del gestore immobiliare dell'intero progetto, l'amministratore delegato di Hines Italia Manfredi Catella.
Sicura che sarà effettivamente realizzato questo polo scuola e museo? «I fondi, 20 milioni di euro, fanno parte integrante dell'accordo tra pubblico e privato. Il problema saranno invece gli stanziamenti per la gestione. E questo è il motivo principale delle mie dimissioni. Il progetto Città della moda non doveva essere soltanto immobiliare, ma estendersi in modo più complesso anche al marketing. Diventare un marchio di qualità con il quale le principali aziende del made
in Italy potevano firmare prodotti di pregio versando le royalties alla Fondazione, che a sua volta le avrebbe investite nel funzionamento del museo e della scuola».
Estratto da Affari&Finanza del 10/07/06 a cura di Pambianconews