Castel Goffredo, meno di 10 mila abitanti arroccati a nord-ovest di Mantova, non esisterebbe senza la produzione seriale di calze da donna. Per dare un'idea delle dimensioni del fenomeno basta qualche cifra: nel distretto locale, che raccoglie altri 12 comuni dell'alta Padana, hanno sede nove delle dieci più grandi aziende del comparto, mentre la produzione annua copre il 75% della domanda italiana, la metà di quella europea e un terzo abbondante di quella mondiale.
Da un paio d'anni, tuttavia, anche le performance castellesi, come quelle di molte altre realtà del settore manifatturiero, segnano il passo. Ma la colpa, almeno questa volta, non è della concorrenza asiatica, visto che la maggior parte dei capi prodotti in Cina e Vietnam è, per il momento, destinata a rimanere su quei mercati.
Cosa è cambiato, allora? «Paradossalmente» spiega il presidente del distretto Giovanni Battista Fabiani «è stata la nostra crescita qualitativa a frenarci. Negli anni 60 una donna acquistava mediamente 24 paia di calze l'anno. Ma oggi ogni azienda sforna prodotti molto più resistenti, per cui siamo fortunati se il consumo medio arriva a dieci paia».
La stagnazione della domanda sembra essere comune a tutti i Paesi ad alto reddito che costituiscono il tradizionale serbatoio dell'export locale: secondo le rilevazioni del Centro servizi calza nel 2004-2005 le calze prodotte a Castel Goffredo e dintorni hanno perso tra il 4 e il 34% delle quote che detenevano sui mercati di Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Canada. «Indubbiamente il forte calo degli ordinativi ci ha messo in difficoltà» puntualizza Fabiani.
«A questo scenario va aggiunta la forte pressione esercitata su di noi dalla grande distribuzione, che resta il nostro universo di riferimento principale, ma purtroppo ci obbliga a mantenere bassi i prezzi riducendo dunque i margini. Ma io resto ottimista. I dati di fine 2005 e le proiezioni sull'anno in corso fanno intravedere una leggera ripresa dell'export, soprattutto verso i mercati emergenti». Le note più liete riguardano infatti l'Est europeo, dove la progressiva crescita dei redditi (e il clima più rigido) fanno intravedere prospettive interessanti.
Estratto da Economy del 16/60/06 a cura di Pambianconews