Salmoiraghi & Viganò, catena di occhiali italiana, da distributore intende diventare sempre più griffe, grazie alle tre nuove linee di occhiali da poco messe sul mercato e dalle altre che seguiranno. Si chiamano 53V, Eklé, Ixplit, nomi chiaramente inventati considerata l'impossibilità di usare il marchio Salmoiraghi & Viganò, troppo lungo e difficile da utilizzare anche nelle sponsorship. Ma niente produzione diretta, niente fabbriche: sono, e saranno anche in futuro, produttori terzisti a realizzare gli occhiali disegnati in casa Salmoiraghi, in parte in Italia (quelli di fascia alta) e in parte in Cina (di prezzo più basso). E dai quali il presidente di Salmoiraghi & Viganò Dino Tabacchi, 271 punti vendita, di cui 221 di proprietà, e l'obiettivo di arrivare a 350, si attende di ottenere una parte importante dei ricavi futuri.
«Al momento dell'uscita da Safilo mi fu chiesto quando avrei comprato una nuova fabbrica, racconta Tabacchi. Risposi: fabbriche nessuna, negozi forse. E dopo un anno ho preso Salmoiraghi. Oggi, spiega, l'offerta di prodotto è tanta e solo quando sei veramente sul mercato puoi cercare di indirizzare le vendite come vuoi tu. Con la catena presidi il mercato, mentre con la produzione puoi essere messo in crisi dal mercato o da altri produttori che fabbricano a prezzi più bassi. Sono molto soddisfatto della decisione presa alcuni anni fa e che mi ha fatto spingere sui negozi e non sulla produzione».
Dino Tabacchi in questi giorni è in Cina, per un viaggio di approfondimento che sta compiendo insieme a un'altra ventina di imprenditori ed è organizzato da Ambrosetti. «Per conoscere questo Paese al di là dei singoli rapporti commerciali», dice. In Cina l'imprenditore sta vagliando anche l'acquisizione di una catena locale ma, dice, «con molta freddezza», perché «devi innanzitutto conoscere il cliente che ti sta davanti, il dipendente con cui lavorerai, la mentalità». Ma Tabacchi ha già detto che il suo obiettivo vero è crescere ancora in Italia, dove «oggi abbiamo una quota del 5% mentre in tutte le altre nazioni europee le catene arrivano ad avere oltre il 50% del mercato. E in Italia ci siamo noi e altri due. Lo spazio per ingrandirsi c'è».
Estratto da CorrierEconomia del 1/05/06 a cura di Pambianconews