Malo lo scorso 8 febbraio ha scelto di debuttare sulle passerelle newyorkesi negli atelier di Bryant Park, portando a termine la trasformazione da marchio di maglieria di nicchia a vero e proprio brand del lusso.
Perché un nuovo campione del made in Italy (partito dal filo di cashmere per giungere in pochi anni a presidiare tutti i settori della moda) ha scelto di debuttare a NewYork, anziché nella vicina Milano? Monthly lo ha chiesto all'amministratore delegato Stefano Ferro che, proprio puntando sull'internazionalizzazione del marchio Malo, ha portato il gruppo a chiudere il 2005 con un giro d'affari di 60 milioni di euro, in crescita del 7,8% sul 2004.
Perché avete attraversato l'Atlantico per il vostro debutto?
Abbiamo scelto la Grande Mela per lanciare un segnale forte di marchio internazionale. Il percorso che Malo ha intrapreso negli ultimi anni è andato proprio in questa direzione. Per essere sempre più brand e sempre meno produttori di cashmere, era necessario non solo ampliare la collezione, ma anche entrare nel fashion system dalla porta principale. Non bisogna dimenticare che NewYork è la metropoli più internazionale e anche la capitale di quel leisure luxury che è la nostra fonte d'ispirazione.
Quanto pesa il mercato americano sui vostri affari?
Rappresenta un quarto del nostro business. Abbiamo già quattro negozi monomarca importanti, dislocati nei punti strategici del turismo di lusso americano, a NewYork, Bal Harbour, Palm Beach e Aspen. E siamo pronti a incrementare la nostra presenza nell'East Coast con nuove aperture: Boston, Newport, Nantucket e Cape Cod sono già nel mirino. Inoltre abbiamo stretto accordi con i più importanti partner del mercato Usa: siamo marca champion per Barney's e Neiman Marcus e ci si può trovare in tutti i templi del design di lusso, come Louis Boston e Win.
Avete studiato una linea ad hoc per i consumatori americani?
Il mercato Usa è alla ricerca di uno stile molto diverso da quello italiano, più barocco e più eccentrico. Ma questo discorso non vale per quel segmento dell'abbigliamento informale di lusso al quale apparteniamo. Il nostro mondo di riferimento è quello dei wasp, dei ricchi di origine europea che passano il tempo tra Newport e Aspen. Persone che non cercano uno status symbol, ma semmai uno stylesymbol. La fascia più alta del mercato è uguale in tutto il mondo. Ha percezioni simili e gli stessi bisogni, a Tokyo come a Parigi, a Milano come a NewYork. Cambia solo la lingua. E questo ci aiuta molto.
A NewYork ha sfilato la donna di Malo. E l'uomo?
La donna permette più libertà d'espressione nel campo del design e traina gli accessori, diventati per noi fondamentali. In pochi anni hanno raggiunto oltre il 15% del fatturato, conquistando una loro indipendenza dalla linea abbigliamento, anche a livello di clientela. In Giappone, ad esempio, siamo partiti dagli accessori per arrivare a introdurre il core business. L'uomo, invece, resterà legato alle presentazioni stagionali. E per ora non ci sono progetti di passerelle.
Estratto da Monthly del 19/04/06 a cura di Pambianconews