A 71 anni e dopo più di duecento sfilate non è stanco, Giorgio Armani, anzi. «Ogni volta l'emozione è esattamente quella della prima stagione. Sono diventato bravino e ormai la gente sta con il fucile puntato sulle mie collezioni. Questo mi carica». La tensione non è calata dopo trent'anni in passerella ed è lontana l'idea annunciata di farsi da parte nel 2007 o nel 2008, dopo aver aperto il capitale a un partner di minoranza. «Non so immaginarmi tra un paio d'anni in una delle mie belle case a guardare la tv». «Mi fanno notare che dovrei vendere ora perché magari tra qualche anno l'azienda avrà un valore minore. Chi se ne frega! Mi appassiona quello che faccio e ho appena cominciato tante cose importanti. C'è tempo. Negli Emirati ho la partnership con Emaar. È una cosa terrificante: l'hotel sarà un edificio altissimo, i grattacieli accanto sembreranno minuscoli».
«Poi c'è l'albergo a Milano. E quella è una cosa che rimane. I vestiti passano, si vendono, si regalano, si dimenticano. Un albergo no. Vede, io ho bellissime case, la barca, un disegno di Matisse alla parete. Ma la mia nascosta ambizione è lasciare qualcosa di importante in questa città che mi ha accolto, ricambiare il suo affetto» .
Nel preconsuntivo 2005 i ricavi hanno superato 1,4 miliardi, l'8% in più in un anno. Un altro motivo per rifiutare alcuni confronti, uno in particolare. Con Tom Ford, l'ex stilista Gucci di cui si attende quest'anno il ritorno con una linea di abbigliamento maschile. «Sono stupito di tutta questa attenzione per chi ha abbandonato e poi ritorna, che tutti ricordino continuamente i meriti che ha avuto in passato, quello che ha fatto. È stato anche bravissimo a pescare cose di altri e a farle sue. Non capisco perché devo sentirmi messo al pari di questo. Aspettiamo che faccia».
«Abbiamo bisogno di nuove leve e nuove idee. Delle venti persone che ci sono nel mio studio a preparare la sfilata, cinque potrebbero fare un Armani rivisitato e corretto per cinque anni. Ma non è questo che serve. Ben venga la linfa nuova». Lo stilista è soddisfatto della struttura, degli uomini più fidati ai vertici di un colosso da 4.700 dipendenti. Anche per questo non pensa a un prossimo addio. «Sono arrivati gruppi finanziari americani, svedesi, arabi. Ho detto no. E sono sereno».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 19/01/06 a cura di Pambianconews