Neanche un paio di anni fa Miro Radici diceva che le condizioni dell'Italia non sono «al 100%» ideali per fare impresa. Oggi, invece, dice che «l'Italia è il Paese più difficile in cui fare impresa». Imprenditore del meccanotessile (con Itema, leader mondiale nel settore) ma in forte diversificazione negli ultimi anni (dalla grande distribuzione in Germania alle centrali idroelettriche, all'edilizia), ha rapporti continui con gli altri imprenditori, suoi clienti. «In Italia, sostiene, ormai investono in pochi. Hanno paura. Aspettano. Secondo me sbagliano, ma io sono di parte perché vendo macchinari…. Eppure credo davvero che aspettare sia deleterio: il mondo corre e o si corre con lui o si cambia mestiere».
Che motivazioni danno gli imprenditori che rinviano gli investimenti?
«Si fanno tre domande e sono le stesse per tutti. La prima è: devo continuare a fare l'imprenditore? Se la risposta è sì, seguono le altre due: devo farlo in Italia, oppure devo farlo all'estero?».
Il suo gruppo come si sta muovendo? Avete fatto grossi investimenti in Cina, trasferirete tutto là?
«Abbiamo fatto un grosso investimento, in termini di risorse e intelligenze, nel tentativo di costruire un'azienda globale, siamo a metà del turnaround, abbiamo bisogno ancora di un paio d'anni, tre al massimo». «Oggi ci sono due tipi di clienti e hanno bisogno di risposte nettamente diverse. C'è il cliente asiatico, che richiede macchine, e il cliente europeo, che cerca progetti. Continueremo a fare il vecchio mestiere di fabbricanti di macchine tessili in Asia, mentre in Europa ci stiamo reinventando completamente per dare risposte ai clienti – e sono tanti – che hanno deciso di restare in Europa. Penso ai Loro Piana, agli Zegna, agli Albini, tanto per citare gli italiani, ma lo stesso vale per altri Paesi. Clienti che non hanno bisogno di macchine fatte in serie ma di progetti condivisi. Se devono produrre un certo tessuto noi siamo lì per aiutarli a realizzare quel tessuto alla miglior qualità e al miglior prezzo. In Europa l'arma vincente è l'intelligenza, lo stare vicini al cliente. Da questa alleanza dovrebbe nascere un circolo virtuoso che dovrebbe salvaguardare il tessile nei Paesi sviluppati. Ma siccome noi vogliamo anche sviluppare il business…».
… finirete per produrre tutto in Asia.
«Più passano i mesi più si allarga la forbice tra i due tipi di clienti di cui parlavo adesso: un telaio prodotto in Cina non sarà mai acquistato da un'azienda europea e viceversa. Quanto al produrre tutto fuori, bisogna smentire una favoletta che si sente sempre ripetere e cioè che si può tener qui la testa e portare fuori tutta la produzione. Non è vero: perché nel medio lungo periodo, la testa segue sempre la produzione. Per questo motivo noi, come Itema, siamo convinti che una parte della produzione deve restare italiana. I grandi numeri evidentemente li faremo in Asia: se in Italia prima facevamo 10mila macchine ora ne facciamo 5 mila, ma quelle 5 mila devono dare agli azionisti le stesse soddisfazioni. Per andare in un settore diverso, la Bmw sta dando bellissimi risultati facendo un numero modesto di automobili, mentre ci sono aziende che fanno due-tre milioni di auto e sono in perdita. Noi vorremmo essere in Europa la Bmw e in Cina la Toyota».
Estratto da CorrierEconomia del 17/10/05 a cura di Pambianconews