De Beers ha venduto il 26% delle attività sudafricane a un gruppo di investitori neri, in larga parte suoi dipendenti, rispettando quanto stabilito dalla legge voluta per risarcire la popolazione di colore dei torti subiti in secoli di dominazione bianca e di apartheid. L'operazione ha un valore di 3,8 miliardi di rand (circa 479 milioni di euro).
Lo scorso anno il governo di Johannesburg aveva varato il provvedimento che obbliga le società attive nell'estrazione di metalli preziosi a cedere almeno il 26% del capitale dei loro asset in Sud Africa ai dipendenti neri entro il 2014, con l'obiettivo di renderli più partecipi e di integrarli gradualmente nei meccanismi della più grande economia africana. Alle compagnie che non rispetteranno questa regola verrà ritirata la licenza per l'estrazione. La vendita darà alle comunità di Northern Cape, dove è stato trovato il primo diamante sudafricano, nel 1867, una quota della prima società estrattiva del Paese.
Nel campo dei diamanti l'industria sudafricana si pone al terzo posto al mondo, dietro il Botswana e la Russia. «Questa è un'ottima mossa politica per De Beers in Sud Africa», ha detto Jamie Strauss, responsabile delle vendite minerarie internazionali presso il broker londinese Hargreave Hale. Gli investitori neri operano sotto il nome collettivo di Panaholo, che significa «emersione» in sotho, una delle 11 lingue ufficiali del Paese. Il 50% della società sarà controllato da 9.600 dipendenti di De Beers e da 8.700 pensionati. Un altro 9% sarà nelle mani di Manne Dipico, un ex governatore di Northern Cape, nonché ex dipendente di De Beers. Un ulteriore 8% sarà detenuto da un gruppo di quattro donne, fra cui Cheryl Carolus, ex ambasciatore del Sud Africa in Gran Bretagna, Dolly Mokgatle, ex direttore delle ferrovie, e Wendy Lucas-Bull, una manager (bianca) di FirstRand, la seconda banca del Paese. La stessa De Beers contribuirà a finanziare l'operazione.
Estratto da Finanza&Mercati del 9/11/05 a cura di Pambianconews