Richiesti da tutti, anche se magari soltanto a parole, protagonisti di un numero ormai esorbitante di concorsi, premiati ma accolti con difficoltà dalle aziende, i giovani sono il grande desiderio e, al tempo stesso, il mistero della moda. Non perché manchino, ma perché non hanno immagine, non appaiono. «La società proietta su di loro le proprie convenzioni, i propri pensieri, che non coincidono con quelli dei giovani. E non è più nemmeno in grado di vederli, di riconoscerli» commenta Beatrice Trussardi, dal 2002 presidente e amministratore delegato del gruppo di famiglia. Trentaquattro anni a novembre, responsabile di immagine, prodotto e comunicazione già nel 1999, questa ragazza dagli intensi occhi azzurri, laureata in Storia dell'arte moderna e contemporanea con master in Art business & administration alla New York University, ha avviato un processo di rinnovamento dell'azienda dalle caratteristiche totalmente nuove. Invece di concentrate tutta la creatività in uno stilista, la classica impostazione delle maison degli anni Ottanta, è andata in cerca di talenti che avessero competenze diverse. «Ma con la capacità di dialogare tra di loro» spiega.
Così, a disegnare la collezione maschile è arrivato Eric Wright, che ha lavorato molti anni con Karl Lagerfeld sul progetto Fendi. Per rafforzare la linea donna è stato scelto Albino D'Amato, uno dei vincitori del concorso Who's Next, organizzato da Vogue e Alta Roma. In particolare si concentrerà sulla sfilata, mentre l'ufficio stile si dedicherà soprattutto alla precollezione. E per sostenere gli accessori è stato scelto un altro collaboratore, che rinfrescherà e aggiornerà la pelletteria: origine e tradizione del marchio da quanto il bisnonno Dante nel 1911 fondò a Bergamo una fabbrica di guanti pregiati.
Quali sono i criteri che hanno guidato Beatrice Trussardi nella scelta? «Per l'uomo, che è il più restio ai cambiamenti di stile e dev'essere rassicurato, mi è sembrata interessante la maturità di esperienza e di età di Wright. Per la donna volevo un giovane perché imposta la collezione in modo opposto ai designer tradizionali». Ma si tratta sempre di disegnare vestiti: come possono essere tanto diversi i metodi? «Può sembrare strano, ma è proprio quello che succede. I giovani sono appassionatissimi di moda, ma l'affrontano trasversalmente con libertà di gusto e di pensiero, disegnando una serie di pezzi: tipo vintage, sportivo, basic, couture, da mescolare insieme. E' questa la differenza fondamentale con i designer classici: eliminano le barriere e uniscono tutto. E invece di proporre due collezioni all'anno, potremo proporne sei, più piccole e veloci, subito pronte da produrre e offrire. E' la lezione di Zara e i giovani sono i primi ad applicarla, istintivamente».
Estratto da CorrierEconomia del 17/10/05 a cura di Pambianconews