Da quando è stato nominato amministratore delegato di Fendi, il 13 ottobre 2003, Michael Burke non ha mai fatto dichiarazioni, rilasciato interviste, indetto conferenze stampa. Soltanto nell'ottobre scorso, irritato per le durissime critiche rilasciate a Corriere Economia da Karl Lagerfeld, che di Fendi è direttore creativo da quarant'anni, ha parlato con l'americano Wwd. «Per la prima volta c'è un progetto definito. C'è una direzione precisa da prendere. Dall'acquisizione e anche prima, quando le sorelle gestivano l'azienda, non c'è mai stato un indirizzo univoco, un percorso strategico comune. E non esisteva nemmeno l'organizzazione per realizzarlo».
Anche quando tutto era nelle mani delle cinque sorelle?
«Ognuna aveva la propria visione di quel che doveva essere Fendi. Certo, Lagerfeld è riuscito a trovare consenso fin dall'inizio, quando gli offrirono con un colpo di genio di disegnare le pellicce. Negli anni Sessanta, quando nessuno pensava di potersi affidare a un creatore esterno. Ma la disparità di opinioni si è riflessa anche sul prodotto, perché Fendi ha sempre avuto una stupenda creatività, ma stop and, stop and go. Un prodotto fantastico e poi fermi. Prima si poteva aspettare. Adesso abbiamo molti negozi da rifornire, che vogliono buoni pezzi ogni tre mesi, non ogni tre anni».
Secondo gli analisti finanziari, è stata proprio questa politica di apertura dei negozi spinta all'eccesso, ad accentuare la crisi economica.
«Quando Arnault ha acquisito Fendi, le boutique erano due: difficile affermarsi sul mercato senza una rete commerciale adeguata. Ora sono 117 e da novembre a oggi ne abbiamo aperte dieci che hanno richiesto grandi investimenti ma erano indispensabili».
Con questi dati, appare ancora più incredibile la cifra pagata per l'acquisizione.
«Tutte le transazioni del 1999-2000 ci sembrano molto costose, ma quello era il prezzo di mercato».
Estratto da CorrierEconomia del 9/05/05 a cura di Pambianconews