Questa volta potrebbe non bastare neppure la loro proverbiale caparbietà. I bellunesi faticano a capire come un'era felice durata almeno un paio di decenni si sia chiusa in meno di due anni. C'è un numero che li inchioda ad una realtà difficile da accettare: a fine 2002 il tasso di disoccupazione era al 3%, il più basso del Veneto; oggi è balzato al 4,7, il più alto. E c'è uno stillicidio di piccole aziende che chiudono o tagliano il personale: più di venti nell'ultimo anno solo nell'occhialeria.
L'occhialeria, appunto, croce e delizia dell'economia di questa provincia di montagna. Non ha tutte le colpe, ad incrinare il sistema prima è stato il tessile, poi ha contribuito anche il metalmeccanico. L'occhialeria aveva saputo fare sistema, era diventata un esempio fra le filiere distrettuali ma ha indirizzato l'area verso una pericolosa monocultura che ai primi segnali di crisi ha patito immediati contraccolpi.
«Non c'è stata la lungimiranza necessari, dice Celeste Bortoluzzi, presidente di Assindustria, colpiti da improvviso benessere abbiamo trascurato alcuni nodi fondamentali. I giovani, attirati dall'immediata possibilità di guadagno, hanno abbandonato presto le scuole. Non si è investito in ricerca, poco nell'innovazione ma soprattutto non si è lavorato abbastanza per risolvere le emergenze di fondo di questa provincia, vale a dire le pesanti carenze infrastrutturali, i maggiori costi energetici ed il complesso di disagi tipici di un'area di montagna». In questo scenario lo sfaldarsi del distretto dell'occhialeria, dove guadagnano praticamente solo le cinque aziende maggiori, che però hanno saputo internazionalizzarsi e conquistare gli elementi chiave del mercato, vale a dire griffes e distribuzione, non è un caso isolato.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 9/12/04 a cura di Pambianconews