Il quadro generale del 2003
Nel 2003, il settore dell'abbigliamento esterno maschile made in Italy (in un'accezione che comprende il vestiario in tessuto, la maglieria esterna, le confezioni in pelle, la camiceria e le cravatte) ha continuato, per il secondo anno consecutivo, a perdere terreno (-3,5%). Il valore dell'output settoriale, infatti, è sceso verso la soglia dei 7,3 miliardi. Il risultato ottenuto nel 2003, relativamente meno penalizzante rispetto alla media dell'abbigliamento, è stato possibile grazie alla stabilizzazione delle importazioni (almeno nei dati in valore) che ha limitato gli effetti negativi sull'attività settoriale derivanti dal calo dell'export (-5%) e dalla stagnazione dei consumi interni (-0,3%).
Sul fronte delle esportazioni, lo scorso anno, si sono registrate flessioni dell'ordine dell'11% negli USA e cali prossimi al 19% sul mercato tedesco. Mentre il primo dato può leggersi in modo relativamente positivo (in quanto al netto dei movimenti registrati sul fronte dei cambi, segnala una decisa ripresa della domanda americana), il "problema" tedesco ha assunto dimensioni ancora più preoccupanti. Negli ultimi anni, infatti, la spesa delle famiglie tedesche per prodotti di abbigliamento ha perso terreno ad un ritmo medio del 5% annuo, in un contesto in cui il mercato è stato rifornito in misura crescente da prodotti di qualità medio-bassa (ma a prezzi molto contenuti) provenienti dai paesi emergenti. In questo contesto, stando ai dati di contabilità nazionale, i consumi pro-capite per abbigliamento in Germania (circa 840 euro) sono scesi al di sotto di quelli italiani (circa 980 euro), uno scenario difficilmente prevedibile solo pochi anni fa.
Questi fenomeni hanno avuto effetti molto negativi sulle vendite dei produttori italiani: nel segmento dell'abbigliamento maschile in tessuto, ad esempio, nel solo biennio 2002-2003, le aziende italiane hanno visto ridursi il fatturato tedesco del 30% circa. Positivi invece i risultati ottenuti sul mercato francese (il terzo per importanza) dove le vendite dell'industria italiana sono aumentate di quasi sei punti percentuali. Questa evoluzione evidenzia un incremento della quota di mercato italiana in Francia: l'aumento delle esportazioni italiane è infatti avvenuto in un contesto in cui i consumi finali di abbigliamento esterno maschile non sono cresciuti ad un ritmo superiore al 2% (a prezzi correnti). I risultati pesantemente negativi ottenuti nel Regno Unito (-17,3% il calo delle esportazioni in valore), oltre a riflettere i movimenti registrati sul fronte dei cambi, dipendono dalla crescente preferenza dei retailer britannici per importazioni a basso costo dall'Asia. Fra i maggiori mercati UE le uniche news positive sono venute, oltre che dal mercato francese, dalla Spagna dove le vendite italiane sono aumentate del 7,5%. Per quanto riguarda i mercati emergenti si segnalano i buoni risultati che hanno continuato a interessare il mercato russo: nell'esterno in tessuto le esportazioni italiane segnalano un incremento del 23% e i dati ufficiali sottostimano ancora in modo significativo l'effettivo assorbimento di moda maschile made in Italy. Sul fronte dei flussi in entrata, la stabilizzazione (-0,3%) registrata nei dati in valore a consuntivo dello scorso anno è il riflesso di una situazione in cui la Cina (+19,7%) ha continuato a sottrarre quote di mercato agli altri fornitori del mercato italiano utilizzando la leva dei prezzi. Le importazioni provenienti da Romania e Tunisia, ad esempio, hanno perso terreno a ritmi del 4% e del 6,8% rispettivamente. La competizione dal lato dei prezzi è risultata molto accesa e si è tradotta in una riduzione dei valori medi unitari all'importazione dell'ordine dell'8%, ma nei flussi provenienti dalla Cina il calo dei valori medi è risultato di magnitudo più che doppia. Anche se il calo dei flussi in valore è imputabile esclusivamente al fenomeno della riduzione dei prezzi medi in un contesto di quantitativi in ulteriore crescita, ciò ha limitato gli effetti negativi sull'attivo commerciale settoriale connessi alla flessione delle esportazioni. Rispetto ai livelli del 2002, infatti, il contributo positivo della moda maschile (oltre 1,5 miliardi) al saldo commerciale complessivo del tessile-abbigliamento si è ridotto di "soli" 250 milioni. Un altro effetto della battuta d'arresto nella crescita del valore delle importazioni registrato nell'ultimo biennio è la stabilizzazione della quota di import penetration, ovvero della percentuale di consumi interni (in valore) soddisfatta da prodotti importati; quest'ultima infatti dopo essere cresciuta ininterrottamente dall'inizio degli anni '90, nell'ultimo biennio si è assestata al 56,7%, a testimonianza da un lato della pervasività della presenza di prodotti importati sul mercato domestico, ma, dall'altro, della difficoltà "marginale" dei produttori emergenti ad aggredire le fasce alte.
Sul mercato interno, la spesa complessiva delle famiglie italiane per l'acquisto di capi di abbigliamento esterno da uomo (e ragazzo) è rimasta sostanzialmente invariata (-0,3%) ma solo grazie alla residua dinamicità dei prodotti di maglieria (+1,4%); nel segmento del vestiario in tessuto si è infatti assistito all'ennesimo cedimento (-1,9%). Le difficoltà del vestiario esterno maschile non si sono quindi arrestate, anzi, i risultati dello scorso anno portano la perdita cumulata dell'ultimo triennio a superare abbondantemente il 12%. Il capo simbolo di questa situazione è ovviamente il capospalla classico che nel 2003 ha fatto registrare consumi inferiori del 30% rispetto ai livelli che caratterizzavano la fine degli anni '90.
Le previsioni
Dopo un triennio molto complicato in cui se il fatturato complessivo del settore ha perso complessivamente il 7%, la performance ascrivibile direttamente a produzione realizzata sul territorio nazionale è risultata decisamente peggiore, le prospettive per il 2004 sono ancora incerte. La raccolta ordini dell'autunno-inverno 2004-2005, nelle prime indicazioni delle imprese del comparto maschile, segnala ancora una contrazione complessiva (-1,1%), sintesi di cedimenti ancora molto vistosi per i prodotti in pelle (-7,3%), di residue flessioni per il vestiario esterno in tessuto e la camiceria (-1% circa) e di lievissimi recuperi (inferiori all'1%) per maglieria esterna e cravatte. I dati di commercio estero per il primo trimestre dell'anno segnalano ancora cali tendenziali complessivi dell'ordine del 10%. Nei prossimi mesi ci si attende comunque qualche recupero nella domanda proveniente dai principali mercati europei (dove sul piano macroeconomico sono previsti incrementi dei consumi finali non marginali). Il parziale rientro del tasso di cambio dell'euro verso il dollaro (e le divise asiatiche) dovrebbe inoltre consentire alle aziende italiane di cogliere in misura più evidente i benefici connessi agli incrementi di domanda che si stanno sperimentando sia negli USA che in Asia. La pesante eredità del primo trimestre impedirà comunque alle esportazioni complessive di tornare a crescere (in termini annui) già dal 2004.
Sul mercato interno, la notizia "positiva" fa riferimento alla stabilizzazione dei consumi finali (al netto della variazione dei prezzi) registrata nel primo bimestre della stagione primavera-estate: le rilevazioni Ac Nielsen evidenziano infatti, fra marzo e aprile, un sell-out stabile per il vestiario esterno, un leggero recupero per la maglieria (+0,2%) e una crescita più consistente per la camiceria maschile (+0,9%); solo per le cravatte si è assistito ad un nuovo lieve cedimento (-0,6%). Nei dati a valore corrente, invece, tutti i settori mostrano i primi timidi segnali di risveglio. Queste indicazioni, unitamente ai miglioramenti di scenario sottolineati nella parte generale del Report e al ritrovato interesse (rilevato dalle indagini qualitative Ac Nielsen) per giacche e abiti interi da parte dei giovani (dopo anni di casual/basic), dovrebbero consentire ai consumi finali di abbigliamento maschile di ritornare a svilupparsi (+2,4% la previsione di aumento a prezzi correnti, ma nei quantitativi si prevede una crescita molto più contenuta, +0,4%) già da quest'anno.
Sia le indicazioni di sell-in che quelle provenienti dal mercato finale sembrano coerenti con una previsione di un lento recupero, i cui risultati saranno tuttavia evidenti solo nei dati annui relativi al 2005. Per quest'anno, infatti, è più probabile che si assista ad un ulteriore nuovo cedimento dell'output della moda maschile (-1,5%) causato da un contributo ancora negativo del commercio estero (nonostante il progressivo recupero delle vendite estere infatti, il ritmo di crescita delle importazioni è atteso risultare nettamente più sostenuto), compensato solo in parte dai primi timidissimi segnali di risveglio del mercato interno.
L'appuntamento di Pitti risulta quindi di fondamentale importanza per verificare se la moda maschile italiana potrà finalmente iniziare ad operare in un contesto di domanda meno penalizzante.