Abbandonandola moda senza se e senza ma, dopo aver ceduto la sua prestigiosa griffe alla Finpart, Nino Cerruti ha presentato durante il Salone del mobile di Milano dello scorso aprile la sua collaborazione con Baleri. «Si tratta di un progetto che ripensa l'uso dei materiali, accentuando il design tessile che dà calore, spiega Cerruti, perché mi ha colpito la freddezza di questi arredamenti, ideati da architetti per architetti. Soprattutto alludendo sempre ad appartenenti vastissimi, quando si sa che invece le dimensioni delle case continuano a ridursi».
È questo il futuro possibile per il made in Italy? Accentuare il design, sottolineandone una specie di contiguità ideale con la moda?
«Sono due settori molto vicini, è vero, perché entrambi hanno come soggetto centrale la persona. In fondo, il vestito è una forma architettonica che sta addosso, ma sono anche profondamente diversi, almeno per quanto riguarda il rapporto con il tempo. La moda si esaurisce subito, il design si pensa eterno. Però sono affini, e io spero che la moda non lo contagi con certe abitudini».
Contagiare addirittura: quali sarebbero queste abitudini così pericolose?
«Lasciarsi andare ai colpi di testa, indulgere a cose superflue, eccessive. L'equivalente degli abiti da sfilata che poi non vengono prodotti. La moda spesso manca di realismo e spero che il design si mantenga esente da questo difetto».
E' stato questo a interrompere la corsa della moda? Troppo spettacolo e poca realtà?
«Non sono così pessimista. La moda non ha ancora finito la sua corsa. Basta pensare ai milioni di persone che stanno accedendo a un superfluo sempre più necessario. Però lo sviluppo non avverrà qui, ma in altri Paesi dove la produzione è facilitata da fattori economici e sociali. Per questo si parla tanto di cambiare l'etichetta, passando da made in Italy a “pensato in Italia”. Anche se la Francia, che conosco bene perché ho trasferito lì il mio lavoro creativo fin dal 1967, non è mai andata tanto per il sottile e molto “made in France” veniva realizzato quasi completamente all'estero».
Ma secondo lei l'etichetta made in Italy ha ancora un valore?
«Direi di sì, ma è legata a un'immagine globale dell'Italia e non soltanto al singolo prodotto. E' quello che la gente immagina che sia l'Italia e si riflette sulle cose che qui vengono prodotte. Per questo i grandi sbagli della politica e dell'economica, diventando sbagli di sistema, incidono profondamente sul made in Italy. Vorrei anche aggiungere che chi ha una produzione di qualità in Italia, non si è mai posto il problema di metterci sopra un'etichetta».
Estratto da CorrierEconomia del 31/05/04 a cura di Pambianconews