In mezzo al guado di una crisi anomala, la moda italiana prova a inseguire una competitività nuova ripartendo dalla formazione dei giovani, fino ad oggi generalmente sottovalutata e #'schiacciata'' dall'intraprendenza dei singoli imprenditori. Così facendo, si scopre però immersa in una fase di cambiamento talmente fluida da rendere difficile, sia per le scuole di fashion che per le aziende del settore, confezionare ricette e modelli standard. Le nuove frontiere della formazione qualificata appaiono dunque elastiche: si va dalla creatività stilistica alla gestione manageriale, dal designer-leader (alla Tom Ford, ex direttore creativo di Gucci) all'equipe creativa, dalla dimensione finanziaria a quella etica e culturale, ormai sempre più al centro dell'attenzione delle imprese. L'unico punto fermo, emerso nel convegno #'La formazione è di moda; una nuova competitività per la moda italiana'', organizzato ieri a Firenze dal Centro di Firenze per la moda italiana (Cfnni) e dal «Sole-24 Ore», è che per intervenire sui fattori critici (dalla sottocapitalizzazione alla successione aziendale), è necessario migliorare il sistema formativo attuale.
«Finora in Italia l'offerta di formazione di base e superiore nella moda è stata inferiore alla considerazione di cui gode il settore e alla domanda che arriva dal mercato interno e internazionale, ha detto Alfredo Canessa, presidente del Cfmi, gruppo che quest'anno celebra i 50 anni di attività.
«Le scuole insegnano la creatività, ma sono poche quelle che insegnano un mestiere», ha spiegato Catherine Vautrin, amministratore delegato della Emilio Pucci.
«La creatività però da sola non basta, ha aggiunto Franco Penè, presidente del gruppo Gibò, perché oggi la competizione non è più sul prodotto ma sull'intera catena del valore, dalla progettazione al servizio al cliente. è un'illusione pensare di recuperare competitività con prodotti creativi. Il vero problema del made in Italy piuttosto è che mancano nuovi attori, nuove figure che danno corpo a questo marchio. Basta pensare che oggi non abbiamo stilisti italiani emergenti».
Ma il problema è anche la mancanza di manager, intesi in modo nuovo rispetto al passato. «II manager oggi è più una figura che facilita il successo dell'impresa, ha spiegato Renato Ricci, presidente della scuola fiorentina Polimoda e direttore delle risorse umane di Gucci, uno che deve trovare la soluzione a mille problemi e che per questo deve essere creativo». Umberto Angeloni, presidente di Brioni, ha in mente un #'manager visionario'', capace di gestire marchi, mercati e reti di vendita.
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Estratto da Il Sole 24 Ore del 1/04/04 a cura di Pambianconews