La campagna acquisti in Italia dei francesi della moda è appena cominciata. Antonio Marras ha debuttato con Kenzo, ma ci sono altre tre poltrone importanti da assegnare in fretta: due liberissime, quella di Givenchy (lasciata da Julian McDonald) e quella di Celine (se n'è andato Michael Kors). Una già opzionata: Yves Saint Laurent, con Stefano Pilati in pole position per sostituire Tom Ford. Qualche nome comincia a circolare, solo indiscrezioni, ma di nuovo si tratta di italiani, che non sembrano aspettare altro che l'occasione buona per scappare all'estero, se è vero, come sostiene Marras, che «se non fai così, resti un signor nessuno: da noi c'è la fissa che tutto debba essere commerciale, uccidendo talento e innovazione». Valentino, che a Parigi sfila quattro volte all'anno, s'è fatto un'idea diversa.
Milano, la capitale italiana della moda, sarà anche un centro «molto chiuso» ai giovani, ma andiamoci piano con l'inno ai creativi: se chi fa abiti non riesce a venderli, meglio che cambi mestiere. E poi le idee: «Non è che se ne vedano in giro molte, attacca: ammiro la fantasia di chi fa collezioni che vanno bene per allestire uno spettacolo a teatro, ma quella roba non se la mette proprio nessuno. E non si può, come anche tanti giovani fanno, attingere agli Anni Cinquanta, Sessanta, Settanta in continuazione: c'è chi, sugli anni Settanta, ci è campato quattro stagioni. E no, occorre dell'altro. Essere creativi vuol dire dare delle novità ma, arrivati al dunque, bisogna che i compratori alla sfilata dicano: ecco, questo lo metto in boutique perché riuscirò a venderne dieci, perché una giacca fatta così e così si può indossare sull'abito da sera, sulle mutande, su qualsiasi cosa. è questo che le donne comprano, non vestiti che hanno bisogno delle istruzioni per riuscire a infilarseli».
I giovani stilisti si lamentano: poche aziende sono disposte e scommettere sui nuovi talenti.
«Vedo ragazzi usciti dalle scuole che sono anche bravi, ma troppo snob, troppo intellettuali. Invece nella moda serve l'esperienza. Non conosco bene il pret-à-porter di Milano: ci sono dei grandi stilisti, con delle basi solidissime, dunque è probabile che per i giovani sia difficile emergere. Ma insomma, questo mondo chiuso c'è sempre stato, era così anche quando ho cominciato io. Chi ha talento alla fine ce la fa. Ho sentito parlare di Marras: pare sia bravo».
Adesso che è venuto in Francia, è diventato improvvisamente bravissimo…
«Quello della moda è un mondo strano, fatto anche di simpatie e antipatie, non è solo la professionalità a incidere sui giudizi. Di sicuro chi fa cose stravaganti, tanto per far parlare di sé, viene dimenticato in fretta. Ripeto: bisogna anche vendere».
Qual è il giusto equilibrio fra creatività e successo commerciale?
«Fare collezioni con molta forza e pensare sempre a quello che la gente vuole portare davvero. I pezzi eccentrici magari affascinano, ma poi non c'è nessuno che spenda migliaia di euro per averli. Prendiamo la mia ultima collezione: forte, lineare, ma insieme piena di cose facili da indossare. Io sono uno che disegna, non come tanti colleghi che non sanno neppure tenere la matita in mano. Io disegno, disegno, disegno: le idee mi vengono così».
Estratto da Corriere della Sera del 10/03/04 a cura di Pambianconews