A perdere più occupazione lo scorso dicembre sono state le grandi imprese tessili e dell'abbigliamento, il peggior comparto di tutta l'industria, con un calo del 6,5% rispetto al dicembre 2002, ma la flessione è addirittura del 9% se calcolata al netto della cassa integrazione. In realtà, per l'intero 2003 la contrazione è più contenuta e il dato tendenziale risulta in caduta del 3% (o del 4% al netto della Cig). Per il tessile-abbigliamento l'emorragia occupazionale non è una novità: seppure con alti e bassi, il settore fa i conti con le crisi da 30 anni. Ma «ogni volta con l'innovazione di processi e prodotti e l'internazionalizzazione ha sempre saputo risollevarsi», dice Valeria Fedeli, segretario generale della Filtea-Cgil.
«L'11 settembre ha trasformato un periodo di stasi in crisi e ha accelerato i cambiamenti strutturali. Dopo il settore è rimasto fermo per via delle attese della guerra in Afghanistan e in Iraq, poi c'è stata la Sars. Le aziende hanno cominciato a chiedere la Cig, che fa sentire gli effetti negativi non nel momento peggiore della crisi, ma sei mesi dopo, quando i lavoratori vengono espulsi invece di essere riassorbiti», valuta Mario Boselli, alla guida di un gruppo con 360 dipendenti e presidente della Camera nazionale della moda. La cassa integrazione ha ammortizzato le fuoriuscite fino a fine anno, ma poi sono mancati i segnali positivi, perché «le vendite natalizie non sono andate come ci aspettavamo, l'attesa per la ripresa è stata delusa e poi c'è stato il caso Parmalat», aggiunge Ermanno Rondi, presidente degli industriali di Biella. I dati sull'occupazione coincidono con quelli sindacali: nel 2003 il numero di addetti è sceso da 925 mila a 905 mila, con una contrazione di circa 20 mila posti, dopo i 38 mila persi del 2002. Non sono solo le grandi imprese a soffrire, ma tutto il sistema, fatto per lo più di piccole aziende, e le grandi si contano sulle dita di una mano.
«I 905 mila addetti lavorano in circa centomila imprese, vuol dire una media di nove dipendenti ad azienda», spiega Boselli. Che dopo aver chiuso uno stabilimento nel 2002, mandando a casa una cinquantina di persone, nel 2003 ha licenziato altre 18 persone, il 5,2% della sua forza lavoro. Per il 2004 si incrociano le dita. «Siamo nel terzo mese e abbiamo visto solo timidi segnali di inversione di tendenza», valuta Rondi. Boselli si aspetta la ripresa da giugno-luglio. Un ritornello ripetuto da troppo tempo. Così il tessile, ancora una volta, ha deciso di prendere l'iniziativa. Tre settimane fa Biella ha lanciato il progetto «Made in Italy Doc», che sollecita un marchio obbligatorio per tutte le lavorazioni fatte prevalentemente in Italia. Un'iniziativa che segue quella dello scorso anno del marchio «Biella, the art of excellence», per le lavorazioni locali che rispettino una serie di parametri stringenti, simile a quella del marchio «Seri.co» del distretto della seta di Como.
Estratto da Corriere della Sera del 5/03/04 a cura di Pambianconews