Questa volta si è deciso di prendere il toro per le corna. Vista la crescente espansione della Cina, il gruppo Miroglio è in dirittura d'arrivo per acquistare il 50% di un'azienda cinese che produce, vende e distribuisce una linea di abbigliamento. Non solo. C'è un'altra trattativa aperta per rilevare una quota di minoranza di un gruppo tessile, sempre cinese. «Queste iniziative precisa l'amministratore delegato Edoardo Miroglio sono finalizzate a operare solo sul mercato cinese». La ragione è semplice: «Esportare il nostro abbigliamento è difficile ed è velleitario pensare la Cina possa essere un mercato per il made in Italy, se non per una fascia molto alta di prodotti di lusso. Questo perchè un normale articolo di moda se lo producono loro direttamente. Al di fuori del lusso, ribadisce Miroglio, per il quale certamente la Cina rappresenta un mercato importante, non c'è nulla».
La situazione congiunturale sempre più difficile (Edoardo Miroglio non nasconde il proprio pessimismo e lo stupore nel leggere previsioni di cauta ripresa) hanno lasciato qualche traccia anche nel bilancio di fine 2003: un bilancio che resta abbondantemente positivo ma che ha rallentato lo slancio degli anni precedenti. Il fatturato consolidato è salito, rispetto al 2002, da 882,9 a 895,6 milioni di euro con un utile prima delle tasse passato da 80 a 82,4 milioni. Un aumento delle imposte ha invece ridotto l'utile netto da 58,9 a 56,2 milioni. A soffrire di più, l'anno scorso, è stata la produzione: «Le vendite di prodotti tessili negli Stati Uniti hanno subito una vera débacle, spiega Miroglio non solo per la debolezza del dollaro ma per un fenomeno più strutturale: i semilavorati sono stati sostituiti da prodotti finiti del Far East. Sono i nostri stessi clienti che hanno chiuso».
La distribuzione, invece, è in netto miglioramento. In crescita anche il numero dei punti vendita, da 611 a 758, metà dei quali di proprietà. Ma i segnali che giungono da questo osservatorio sono tutt'altro che rassicuranti. Per Edoardo Miroglio «novembre, dicembre e gennaio sono stati mesi di forte peggioramento rispetto all'anno prima. E il 2004 sarà durissimo». Colpa del supereuro? «Certo la debolezza del dollaro non aiuta, tanto più che gli strumenti finanziari di protezione sono perfetti nel medio termine, ma inutili rispetto alle posizioni competitive strutturali. Evitano la mazzata nel breve ma non nel lungo termine. Poi, aggiunge Miroglio l'euro forte penalizza noi in modo clamoroso negli Usa ma non penalizza i nostri concorrenti. Più in generale, c'è un'attesa abbastanza forte di deflazione dei prezzi, alimentata anche dalle catene come Zara e H&M».
Estratto da Il Sole 24 Ore del 25/02/04 a cura di Pambianconews