«Il tradizionale modello del distretto industriale non regge più». Paolo Sarti, imprenditore del settore moda (tessile e accessori), ex presidente di Assindustria Prato e del Club dei distretti italiani, ha progressivamente diversificato le attività del gruppo di famiglia. è entrato nella cantieristica, dove opera attraverso Tecnomar, con basi a Viareggio e Massa (14 milioni di fatturato); ha lanciato Food Italia, 60mila pizze fresche e surgelate al giorno (7,5 milioni di ricavi). Settori che si sono aggiunti alla presenza nel campo immobiliare, caratteristica pressoché comune alla maggior parte degli imprenditori dell'area. «Nel 2003 Tecnomar è cresciuta del 37% e Food Italia del 18%, mentre il tessile stenta a tenere i livelli», dice Sarti il cui gruppo, 350 dipendenti, oggi ha un giro d'affari aggregato di circa 60 milioni, per il 45% realizzati all'estero.
Negli ultimi due anni, il distretto tessile di Prato ha perso 764 milioni di fatturato e il valore aggiunto dell'industria è passato dal 44,4% del 1996 al 42,2% del 2001, con un trend in discesa che non accenna a fermarsi: è l'inizio della fine?
è il segno di un cambiamento profondo e inevitabile, che si può riassumere in due parole: diversificazione e deindustrializzazione. La concorrenza dei Paesi emergenti, come India e Cina, e la progressiva globalizzazione dell'economia mondiale stanno mettendo in crisi i nostri distretti industriali, non solo Prato, che hanno basato le loro fortune sul modello cosiddetto a rete, con una miriade di piccole e piccolissime aziende specializzate in singole parti di lavorazione, molto agili e flessibili, in grado di rispondere alle diverse esigenze del committente di turno. Oggi, con interi comparti messi fuori gioco dalla concorrenza di chi ha costi di produzione infinitamente più bassi, i margini delle imprese si sono ridotti all'osso e l'unica risposta possibile è quella della progressiva verticalizzazione. Si va verso un consolidamento del sistema produttivo.
Una recente indagine indica come il 25% delle imprese di Prato sia destinato a scomparire, a fronte di un altro 25% che invece continua ad andare bene: il futuro allora è nel terziario?
L'Italia è un Paese manifatturiero e Prato una delle province più industrializzate. Non penso che sia opportuno puntare tutto sui servizi, che pure sono importanti e continueranno a crescere e a creare posti di lavoro. è finita la monocultura produttiva dei distretti: dobbiamo prenderne atto e far fronte alla inevitabile flessione in termini di fatturato e posti di lavoro, cercando di diversificare in altri settori.
La delocalizzazione è una risposta?
Sì, però attenzione: non tutti quelli che hanno delocalizzato le produzioni si sono trovati bene. E poi è una soluzione che può funzionare per l'imprenditore, ma certo non per il Paese che, ripeto, non deve puntare solo sui servizi. Bisogna trovare nuovi stimoli per investire in settori diversi.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 20/02/04 s cura di Pambianconews