Tonfo del margine operativo e dei risultati: la parabola discendente delle aziende italiane del lusso ha segnato un altro minimo nel 2002. E nel 2003 si stima che i ricavi caleranno ancora del 4-5%, intorno ai 12,5 miliardi di euro, e l'incidenza dell'utile netto sui ricavi scenderebbe dal 4,5 al 3,5 per cento. Il campione di aziende dei luxury goods, predisposto da Pambianco Strategie di Impresa, comprende 37 star del lusso internazionale: Gucci, Prada, Armani, Dolce & Gabbana, Ferragamo, Versace, Tod's, Bulgari, Cavalli, Loro Piana, Zegna, Burani, Pomellato solo per citarne alcuni. Dal 2000 al 2002 il margine operativo netto è scivolato da 1,251 miliardi a poco più di un miliardo. Il Mol da 1,838 a 1,815, passando da 1,913 miliardi del 2001. Gli indici di redditività del campione hanno subito un tracollo: il Ros è scivolato dal 10,8 al 7,7% e il Roe dal 9,7 al 5,7 per cento.
«La redditività del settore, osserva Carlo Pambianco, presidente di Pambianco Strategie di Impresa, prosegue la fase calante, anche se nel triennio i ricavi complessivi del campione crescono. La contrazione degli oneri finanziari, dal 3,8% al 3,1% dei ricavi del 2002 sembrerebbe però contraddire lo stato di sofferenza del lusso italiano. Ma ciò è dovuto al taglio degli investimenti e al crollo delle operazioni di acquisizione, soprattutto dei grandi gruppi».
Il business del lusso ha risentito in pieno della crisi dei consumi, del dopo 11 settembre e della guerra dell'Irak. Inoltre le forti svalutazioni del dollaro e dello yen sull'euro, rispettivamente del 30 e del 20% in tre anni, hanno fatto il resto. Le difficoltà hanno messo sotto pressione molte griffe. «Spesso però, sostiene Pambianco, le crisi non sono soltanto finanziarie. La carenza d'innovazione nello stile innesca il circolo vizioso: meno ricavi, meno investimenti, meno efficienza».
Altre griffe hanno invece guadagnato quote di mercato (D&G +49,5% nel 2002) o mantenuto un'elevata redditività (Canali, 10% di margine netto) malgrado la stagnazione. «In generale, aggiunge Pambianco, hanno sofferto di più le medie imprese che devono sostenere gli stessi costi delle grandi pur non avendone la dimensione. Che fare? Puntare sulla crescita e non rinunciare ad armi strategiche come l'innovazione di prodotto, la comunicazione e lo sviluppo del trade».
Vedi tabella che segue
Estratto da Il Sole 24 Ore del 26/01/04 a cura di Pambianconews
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