In che condizioni era la società al momento del suo ingresso? «Critica. Il #puma cat', un tempo scattante e pieno di energia si era messo a dormire. Il gruppo doveva essere ristrutturato e il marchio rilanciato senza perdere tempo». Il felino in questione è il simbolo di Puma, casa tedesca fondata nel 1948 da Rudolf Dassler, fratello di Adolf, proprietario di Adidas. A parlarne è Jochen Zeitz, manager quarantenne che dieci anni fa ha preso in mano la società di Herzogenaurach con l'obiettivo, ampiamente raggiunto, di farla rinascere, «E di far diventare il marchio Puma il più desiderabile al mondo». Nei primi nove mesi dell'anno scorso Puma ha aumentato le vendite del 43,2% totalizzando un fatturato di 1.046 milioni, per la prima volta superando il miliardo di euro, e un utile netto più che raddoppiato (da 72,3 milioni di euro a 154, 8). Zeitz ha anche promosso una politica di delocalizzazione con tre quartieri generali: in Germania resta la sede amministrativofinanziaria del gruppo, negli Stati Uniti vengono disegnate le collezioni e da Hong Kong si controlla l'80% della produzione.
La sua più grande soddisfazione?
«Il fatto che Puma oggi, oltre ad essere una firma fa tendenza. L'aver creato una cosa nuova mescolando sport, lifestyle e moda».
Il vostro concorrente più pericoloso?
«Tanti: oltre ai tradizionali, oggi anche le firme del lusso».
Che politica adottate con le licenze?
«Molte le abbiamo ritirate nell'ottica di controllare totalmente il marchio. E' rimasto qualcosa in settori dove non abbiamo il know how, profumi ad esempio».
Avete mai pensato di acquisire altri marchi?
«Per il momento no. Ci concentriamo su Puma».
Perché avete scelto Neil Barrett?
«E' un designer con grande esperienza internazionale. Ha un ottimo occhio verso lo sport, vive in Italia, ha un'idea molto vicina alla nostra sul vestire».
Estratto da Affari & Finanza del 19/01/04 a cura di Pambianconews