Nella sede appena fuori dal centro di Milano, Franco Cologni parla seduto sulla poltrona più importante in Italia di Richemont, secondo gruppo mondiale del lusso. Una poltrona che, a livello globale, sta sotto appena a quella del patron della società, il miliardario sudafricano Johann Rupert. Giacca scura su girocollo nero, sembra di ascoltare un vecchio zio che arriva con i regali nel giorno di festa. E che ha storie affascinanti da raccontare. Perché «lo zio», classe 1934, è stato fin dagli anni 80 una delle bandiere del lusso internazionale, avendo guidato il marchio Cartier e avendo contribuito a farne un modello per tutti i grandi che sono seguiti. Lasciata la plancia nel 1998, «sono stato, dice, una sorta di Virgilio dantesco per Rupert». Fino alla scorsa estate, quando quest'ultimo ha preso atto che la barca iniziava a fare acqua, ha spedito a casa un buon gruppo di manager, per prendere in prima persona il timone di Richemont. E richiamare Virgilio dal limbo per metterlo di nuovo a capo di Cartier.
I primi risultati della cura Rupert-Cologni in termini di riordino dei costi sono emersi già nel semestre chiuso a settembre. Ma Rupert ha chiesto a Cologni ben più che una mano per asciugare la pletorica struttura del gruppo. E il quasi settantenne manager milanese, dal 2002 Cavaliere del lavoro, ha stregato Rupert con la più classica delle formule: il ritorno al passato. Domani Richemont presenterà i numeri delle vendite nel periodo ottobre-dicembre. Non si prevedono grandi novità a livello di gruppo (uno o due punti di crescita, a cambi costanti). Ma gli occhi saranno su un unico dato: la reazione di Cartier (che vale da solo circa la metà del fatturato di Richemont) alla gestione Cologni. Che accetta la sfida, ma rimanda a marzo per la prima cartina di tornasole sulle vendite.
«La carestia terminerà solo a fine 2004, spiega il manager, ma in ogni caso fino al 2007 la crescita sarà solo fisiologica». Il che significa che «dovremo dimenticare la crescita a due cifre dei volumi». Del resto, non sono certo questi i numeri che contano per Cologni. Anzi, proprio per seguire i ritmi delle trimestrali e della moda «il lusso ha snaturato se stesso».
Il modello, quindi, sarà sì quello di ieri, ma con una velocità ridotta. «Così, senza fretta, conquisteremo mercati come Cina e Russia, riprende Cologni, dove vogliamo entrare, ma partendo dai piani alti della piramide: a settembre saremo nella Città proibita con i nostri orologi. E vogliamo anche l'America, quella interna, quella appena oltre le coste, quella che guarda al valore delle cose».
Estratto da Finanza&Mercati del 14/01/04 a cura di Pambianconews