Secondo Adolfo Urso, viceministro delle Attività produttive, «non accadrà affatto che l'immagine dell'Italia venga compromessa dal caso Parmalat, che è uno scandalo che riguarda il sistema finanziario, non produttivo». E, dunque, nessun effetto si avrà sul made in Italy. Ma non solo: anche dall'euro forte bisogna imparare. «Puntando sull'eccellenza, dice il viceministro, dove il fattore prezzo non incide o incide meno. E, soprattutto, comprendendo che questo è il momento opportuno per mutare strategia: per recuperare nell'internazionalizzazione e nel campo degli investimenti». Quanto, infine, alla delusione degli imprenditori per l'azione del governo, Urso riconosce che alla fine è stato ottenuto meno del previsto («io stesso ho criticato i tagli»), ma risorse e interventi legislativi definitivi sono sempre maggiori di quelli del passato. Partiamo dal tema del momento, Parmalat.
Tra le imprese del made in Italy si pensa che la caduta d'immagine dell'Italia avrà serie ripercussioni sul settore. Ma Urso lo esclude: «Non accadrà – sostiene il viceministro -. Non ci troviamo di fronte a uno scandalo alimentare, come fu quello del metanolo, o di prodotto. Anche il caso Cirio, che ha preceduto Parmalat, è finanziario. E, infatti, ai commissari di Cirio sono arrivate 49 richieste, dico 49, per acquisire rami aziendali, comprese offerte arrivate dalle più grandi imprese dell'agroalimentare italiano». Semmai, dice Urso «questo scandalo può rendere più faticosa un'operazione già difficile come quella della capitalizzazione delle imprese italiane in Borsa. Il tallone d'Achille della nostra impresa è la scarsa capitalizzazione: Parmalat, dopo Cirio e i bond argentini, rende più difficile l'approvvigionamento finanziario del nostro sistema industriale e quindi la sua crescita. La lezione deve servire a tutti. è utile puntare su quelle medie imprese italiane, che sono tante, che sono significative, che hanno marchi affermati e che stanno crescendo in maniera sana su solide basi industriali».
Dunque, nessun problema d'immagine? Non cambierà il tono della prevista promozione del made in Italy da parte del governo? «Ripeto: il mercato internazionale sa ben distinguere tra la qualità di un prodotto considerato di eccellenza come quello italiano e una vicenda del tutto finanziaria a cui occorre reagire subito e in modo radicale, come è stato fatto negli Stati Uniti dopo Enron. Quanto alla promozione del made in Italy, nel 2004, che consideriamo un anno decisivo per l'economia italiana, abbiamo previsto un'azione su due livelli. Intanto, difesa e tutela, fondamentali in un'economia sempre più globalizzata dove ci sono nuovi competitori e dove difendere il prodotto italiano dalla concorrenza sleale è vitale. E, su questo fronte, abbiamo introdotto il marchio made in Italy e norme più severe nella lotta alla contraffazione, mentre in sede europea dovremmo arrivare alla marchiatura d'origine. La seconda strategia è di attacco, con risorse straordinarie per la promozione. Risorse che, anche se in parte decurtate nella stesura definitiva della Finanziaria rispetto al testo iniziale, sono di gran lunga superiori a quelle degli anni passati. Faremo promozioni straordinarie nei mercati tradizionali ma anche in quelli nuovi come la Cina, oppure l'Arabia Saudita, il Libano, il Kuwait».
Estratto da CorrierEconomia del 12/01/04 a cura di Pambianconews