Anche tra le aziende della moda e del lusso si parla molto del crac della Parmalat, e non solo per la oggettiva rilevanza che questa vicenda ha. Se ne parla, intanto, perché ci sono diverse società del settore che hanno emesso bond, alcuni di questi hanno scadenza ravvicinata e sono stati lanciati da aziende che attraversano difficoltà. In secondo luogo, perché i falsi della Parmalat compromettono l'immagine dell'Italia alla quale il made in Italy è strettamente collegato. Infine, perché questo scandalo rischia di gettare ombre su quell'imprenditoria familiare che rappresenta il tessuto industriale italiano e in particolar modo del tessile-abbigliamento. «La questione Parmalat, dice Vittorio Giulini, presidente di Sistema moda Italia, l'associazione confindustriale del settore, è stata ben inquadrata da Marco Vitale sul Corriere della Sera: un connubio incestuoso tra una certa imprenditoria affaristico-politica e il modello di impresa finanziaria tipicamente americano, fondato su alte commissioni bancarie e uno sviluppo a tutti i costi. Un modello che è totalmente estraneo a quello su cui si regge il nostro Paese, che per il 90-95% è formato da imprese familiari attentissime ai conti e a uno sviluppo di lungo periodo. Aziende che sono tipicissime della moda, da Zegna a Max Mara, dell'occhialeria, come Luxottica, dell'alimentare, come Ferrero e Barilla».
Insomma, la questione Parmalat non tocca la moda. Eppure, tra gli imprenditori c'è preoccupazione per i riflessi che avrà…
«è un importante campanello d'allarme, ma in positivo, per il Paese. Per dire che la crescita a tutti i costi, con la quotazione in Borsa, i venture capital, i fondi comuni, etc, è un modello non obbligato ma, anzi, può essere l'anticamera della rovina. Che va bene se un'impresa che ha una propria vocazione ed è di nicchia rimane tale, purché sia solida e stabile. è questo il modello che troviamo nel nostro Paese».
Nella moda, però, ci sono alcuni bond che preoccupano. E ci sono gruppi che la crescita a ogni costo l'hanno praticata.
«Nella moda c'è un equivoco: si parla sempre di una serie di nomi, importantissimi, ma che su 47 miliardi di euro di fatturato all'ingrosso del settore, rappresentano una percentuale piccola».
Ma sono le aziende che hanno dato visibilità alla moda…
«è vero. Ma non possiamo dimenticare che il fatturato globale di un gruppo come Benetton o Miroglio è superiore a quello dei grandi nomi che oggi hanno dei problemi. Si tende a parlare moltissimo di quelli che fanno parlare moltissimo di loro».
Lei, dunque, non si aspetta problemi.
«Credo che, in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, i problemi ci siano per tutti coloro che hanno fatto il passo più lungo della gamba o hanno sbagliato strategia».
Estratto da CorrierEconomia del 12/01/04 a cura di Pambianconews