C'è chi si dichiara meravigliato, come se un simile esito non fosse nemmeno immaginabile. Chi se l'aspettava, perché «ogni autonomia ha il suo limite, dice il presidente della Camera nazionale della moda, Mario Boselli. La libertà di chi opera in una public company non può essere la stessa di chi riferisce a un solo azionista». In qualunque modo la si voglia intendere, la notizia del divorzio di Domenico De Sole e Tom Ford da Gucci, consumato tra cortesissimi comunicati stampa e ringraziamenti reciproci dopo mesi di trattative molto dure, rappresenta la fine di un'era. Quella dei passi felpati, degli annunci sempre ottimisti, della scintillante poesia del glamour e della creatività, per entrare nel mondo delle pure leggi economiche, dove conta chi detiene la proprietà dell'azienda. Ma soprattutto, finisce quella bolla rosea di illusione che ci ha spinto per anni, quella sensazione di essere i migliori: la moda italiana, prima nel mondo. Con i suoi Valentino, Armani, Ferrè, Missoni, Dolce & Gabbana, Prada e i mille marchi storici. Una vera realtà industriale sostenuta da cifre sempre più importanti per la bilancia dei pagamenti.
Eppure la situazione è cambiata drasticamente nel corso degli ultimi anni. Perché la Francia è riuscita a creare i veri poli del lusso, come Lvmh (che comprende Vuitton, Celine, Kenzo, Dior, Givenchy) e Ppr-Pinault Printemps Redoute (con Yves Saint Laurent, Gucci, Balenciaga, Stella Mc Cartney, Roger & Gallet). Operazione che in Italia, dove le aziende sono quasi sempre familiari, di generazione in generazione, dai nonni ai nipoti, vedi Missoni, non è mai riuscita. Anche perché molti brand italiani nel frattempo sono passati di mano ed entrati nell'orbita di Parigi.
A fronte dell'energia e dell'aggressività del sistema moda francese, l'Italia appare in una situazione più fragile, delicata, anche per l'età più che matura dei suoi protagonisti. Infatti, in questo momento secondo Gaetano Marzotto, presidente di Pitti Immagine, «la Francia gode del vantaggio di aver già compiuto quel ricambio generazionale che noi non abbiamo ancora fatto. La situazione si modificherà nei prossimi anni». Per Mario Boselli, che per il suo ruolo istituzionale tende a essere più tranquillizzante: «La questione Tom Ford-De Sole non può diventare il paradigma dal quale far discendere ogni ragionamento. Sono fatti interni che non dovrebbero influenzare la sorte del made in Italy». Per quanto la riguarda, è così convinto della collaborazione Italia-Francia che, dopo aver firmato un accordo sui rispettivi calendari sfilate, con gli omologhi della Federation sta mettendo a punto un progetto comune di progressiva penetrazione sui mercati.
Estratto da CorrierEconomia del 10/11/03 a cura di Pambianconews