Un attacco dal basso, al cuore del sistema moda italiano, sfruttando la crisi del mercato. Lo hanno sferrato le grandi catene internazionali di abbigliamento, gli spagnoli di Zara e di Mango e gli svedesi di H&M che da poco sono sbarcate in Italia aprendo negozi molto vicini ai tradizionali big del lusso. Il fenomeno emerge in tutta la sua consistenza dai dati mostrati ieri da Carlo Pambianco al cospetto dei principali operatori del settore moda riuniti a Milano in un convegno organizzato da Pambianco e Banca Intesa. «La crisi ha fatto emergere prepotentemente nuovi protagonisti, ha spiegato il consulente d'impresa hanno costruito sistemi aziendali estremamente efficienti, hanno fatto della velocità e del prezzo il loro punto di forza».
I numeri sono eloquenti. Questi gruppi, tra cui svettano anche catene italiane come Max Mara, Miroglio, Conbipel, che crescevano già a ritmi elevati prima del 2000, hanno continuato la loro corsa anche nel periodo della crisi 2001-2002 con tassi di crescita intorno al 20% (catene estere) e utili nettiparia110% del fatturato.
Mentre i tradizionali gruppi del lusso italiani (un campione di 14 big) hanno registrato nel primo semestre 2003 una diminuzione dei ricavi pari a 17%, con utili che sono crollati a15,7% del fatturato complessivo. Le catene a basso prezzo «hanno dato un sapore di moda, di glamour ai loro prodotti pur se di fascia mediobassa e bassa, continua Pambianco hanno nobilitato questa fascia di mercato uscendo dalla logica del #'cheap'' (l'Upim di una volta)».
Per il momento il gotha della moda italiana non sembra preoccuparsi troppo delle catene a basso prezzo. Lo star system è ancora sconvolto per il terremoto che ha colpito la Gucci con l'improvvisa uscita di scena di Domenico De Sole e Tom Ford. «Noi non siamo mai stati imprenditori, non siamo mai stati, ahimè, padroni della Gucci, ha detto con una punta di amarezza De Sole intervenuto al convegno in videoconferenza da Firenze. Per il futuro io e Tom Ford non abbiamo ancora nessun piano. Abbiamo condotto con Ppr negoziati in buona fede». Tocca a Patrizio Bertelli, patron del gruppo Prada che sta uscendo non senza sacrifici da una fase di ristrutturazione, ridimensionare il pericolo che vien dal basso. «Zara dovrebbe pagare le royalties a tante ditte di cui rifà il prodotto, compresa la nostra, ha detto il sanguigno Bertelli, ma è sbagliato prendersela con chi copia: ben venga, perché anche questo, da sempre, è il gioco della moda».
«Uno dei miei grandi privilegi, ha invece detto Renzo Rosso, fondatore della Diesel con 686 milioni di fatturato, è quello di non dover rendere conto a nessuno: il vero lusso è per me fare ciò che voglio. Quindi andare in Borsa non mi interessa assolutamente».
Estratto da La Repubblica del 7/11/03 a cura di Pambianconews