Sono settimane, queste, in cui sotto un'apparente tran tran si stanno giocando molte partite che avranno effetti importanti per il mondo della moda e dei prodotti di lusso. Qualcuna potrebbe, anzi, avere anche riflessi maggiori, a seconda della direzione, positiva o negativa, che prenderà. I nomi coinvolti sono tra i più importanti, per numeri e per risonanza internazionale, tra quelli italiani. Gucci, Versace, Bulgari, Cerruti, Fendi… Società che stanno affrontando problemi e aspetti della propria vita aziendale molto diversi tra di loro ma che, per il fatto stesso di insistere sullo stesso settore, partecipano insieme alla costruzione di quello che sarà il futuro del made in Italy. E i cui destini, talvolta, potrebbero perfino toccarsi come in un effetto domino.
Una delle mani che più desta attenzione è quella che si sta svolgendo, ormai da mesi, sul tavolo di Domenico De Sole e Tom Ford, rispettivamente amministratore delegato e designer di Gucci, e di Serge Weinberg, presidente di Ppr, il gruppo controllato da. François Pinault a cui Gucci fa capo, per il rinnovo del contratto che lega i due manager alla società. De Sole ha detto che «a fine mese» si saprà: e, dunque, ormai è questione di giorni per sapere se il duo De Sole-Ford resterà, o meno, al comando. Intanto, l'andamento del titolo in Borsa fa pensare che forse, alla fine, la soluzione alla questione Gucci potrebbe essere la più semplice: nessuna Opa.
Secondo le indiscrezioni circolate negli ultimi mesi sul mercato, e sempre smentite, la partita Gucci era sembrata poter essere in qualche modo collegata a quella che è di scena in casa Versace. Il gruppo della Medusa è alle prese con il suo piano di ristrutturazione, di cui si attende la presentazione ufficiale. Ma per le questioni legate al capitale sociale, nuovo socio? vendita? ingresso di un puro partner finanziario? , le cose sembrano rimandate a quando, il 30 giugno prossimi, il socio di riferimento, Allegra Beck Versace, compirà i 18 anni.
Preoccupazione, invece, per quanto sta accadendo in Finpart, la holding che controlla Cerruti, Pepper e Frette, e dove l'amministratore delegato Silvano Storer è da tempo in partenza, pur pronto a rientrare nella partita con un management buy out. Ciò che preoccupa, però, è che dell'annunciato aumento di capitale non si è più avuta notizia. Nonostante l'ottimismo espresso dal presidente Aldo Livolsi e gli impegni presi dall'azionista di riferimento Gianluigi Facchini, a venerdì scorso i problemi non risultavano ancora superati. La ricapitalizzazione è vitale per la sopravvivenza del gruppo. Ed è vitale anche per poter concretizzare le dismissioni di cui si è parlato in questi mesi: chi compra, infatti, vuole la sicurezza di non essere coinvolto in eventuali revocatorie future, possibili nel caso di crisi del gruppo. Su tutto incombe il problema del bond da 200 milioni di euro (rappresenta la maggioranza del debito del gruppo, in totale a giugno pari a circa 360 milioni), per restituire il quale non sono sufficienti i 70 milioni già promessi da Facchini per l'aumento di capitale.
Sulla piazza di Roma, infine, una famiglia è alle prese con la trasformazione dell'azienda che ha (splendidamente) venduto, Fendi, mentre un'altra affronta oggi l'argomento, Bulgari. Due storie che potrebbero rappresentare un «prima» e un «dopo». La Fendi ormai sotto il controllo del francese Lvmh, che ne vuole fare un nuovo Dior (e per questo ha lasciato l'amministratore delegato Giancarlo Di Risio: dove andrà?), sembra essere ancora una volta il benchmark di un cambiamento di mercato, come lo fu nel momento della sua vendita, tre anni fa. E Bulgari? L'amministratore delegato Francesco Trapani ha smentito dissidi con Paolo e Nicola Bulgari (a testimonianza ha portato il rinnovo del patto di sindacato fino al 2006) e ha, dunque, negato ogni ipotesi di vendita, che sia Swatch, Lvmh o Richemont.
Estratto da CorrierEconomia del 27/10/03 a cura di Pambianconews