La crisi del tessile non è solo italiana. La conferma viene dai produttori di filati per tessitura, reduci da Filo e impegnati nella ricerca di una soluzione che passi attraverso qualità, servizio, innovazione di prodotto o apertura di nuovi mercati. Fra stagnazione delle vendite, crisi dell'abbigliamento come status symbol e dumping dei paesi emergenti, nessuno si fa però illusioni, mentre il tema della delocalizzazione produttiva rimane attuale.
Ci sarà ancora spazio per produrre filati in Europa occidentale? «Ce ne sarà», ha confermato Rodolfo Botto di Botto Poala, ma molto meno che in passato. Abbiamo infatti perso i quantitativi a vantaggio delle aree a basso costo di mano d'opera e la nostra sola difesa è puntare su prodotti particolari, qualità e servizio. La preoccupazione è di riuscire a mantenere volumi che ci permettano di sopravvivere, in una situazione di consumi statici e con i prezzi delle materie prime in crescita». Dopo un primo semestre 2002 che ha visto andare a picco in Italia la produzione di tessile laniero e serico e che si è chiuso con una flessione media superiore al 10%, per il 2003 non si scorgono segnali di ripresa.
La Cina si conferma un concorrente pericoloso, in grado di far lievitare i prezzi alle aste laniere. Come superare la concorrenza? «Bisogna uscire da questo impasse con proposte intelligenti», ha risposto Mario Guarducci di Filoseta, «e con prodotti classici innovativi. A Prato qualche segnale positivo si intravede e spero in una piccola ripresa già nel 2003». Infine c'è chi sull'Italia punta e continua a investire come il gruppo Filati Drago. «Crediamo nella Doc Biella come ciclo completo, dalla pettinatura al tessuto finito», ha commentato Paolo Drago, «e la scommessa per il futuro è un marchio biellese».