Mentre lo stilista Tom Ford fa sfilare la nuova collezione di Yves Saint Laurent, alla Borsa di Parigi ci si chiede se il re della grande distribuzione François Pinault completerà davvero l'acquisizione del Gucci Group, o se, invece, troverà una scappatoia per evitare il salasso. Gli accordi sono chiari: nell'aprile del 2004, i soci di minoranza di Gucci potranno vendere il loro 47 per cento alla Ppr, che si è già impegnata a comprarlo al prezzo di 101,5 dollari per azione. E’ un obbligo che rischia di far male ai conti di Ppr.
Questa almeno è la convinzione della Borsa, che in 12 mesi ha dimezzato le quotazioni di Ppr, mentre a Wall Street il titolo Gucci continua a veleggiare sugli 85 dollari, con una flessione di non più del 10,5 per cento sul prezzo al quale monsieur Pinault aveva rilevato, il 10 settembre 2001, le azioni che gli servivano per arrivare al controllo del gruppo italiano.
Rassicurato dal buon settembre, il presidente di Gucci, l'avvocato Domenico De Sole, promette una ripresa generale in autunno. La messa a regime delle nuove province dell'impero può dare una spinta ai risultati. Ma con l'aria di crisi che tira non tutto è scontato. Ed è a questo punto che si apre un dilemma: che fare dell'ancora ingente liquidità, 1,2 miliardi di euro che Gucci ha in cassa? Usarla per comprare nuovi marchi, approfittando con coraggio del calo del prezzo delle imprese, oppure essere prudenti a tenere il fieno in cascina, ben sapendo che potrebbe servire ad addolcire la pillola del 2004?