Franco Cologni, presidente del consiglio di sorveglianza di Cartier International, ha idee molto precise su che cos'è e, soprattutto, su che cosa non è, il lusso all'alba del secolo XXI. E anche su che cosa si possono aspettare i fortunati clienti di orologi e collane e i meno fortunati acquirenti delle azioni delle luxury companies, tra le quali ovviamente c'è Richemont, holding quotata a Zurigo e proprietaria, fra gli altri, del marchio Cartier.
Dottor Cologni, come sente Cartier il morso della crisi economica mondiale?
«Nei tempi normali, la clientela, e dunque la produzione nei settori della gioielleria e dell'orologeria di alta qualità, formavano una piramide con alla base la produzione a minor prezzo per la clientela più larga e poi su, a risalire, fino al vertice dell'alta gioielleria per le gente molto ricca. Oggi la piramide è diventata una clessidra. C'è un cono rovesciato superiore, formato dai super ricchi che non conosce crisi. Questo tipo di clientela continua a comprare, fa anzi qualche follia come prima della grande crisi del 1929. Al centro, dove la clessidra si restringe troviamo la classe media che acquista prodotti non proprio a buon mercato, ma nemmeno costosissimi. In questa fascia di mercato prevale oggi la tendenza a stare alla finestra. è così in tutto il mondo. Nel cono basso della clessidra, invece, la situazione varia: l'Europa riduce le spese,
gli Usa no, il Giappone nemmeno».
Perché, tranne Bulgari, i grandi marchi internazionali della gioielleria sono francesi?
«Perché l'Italia è un paese di oreficeria e non anche di gioielleria come la Francia».