Probabilmente sarà solo un caso. Ma l'aria intorno alla moda italiana, e al suo centro per eccellenza, Milano, sembra cambiare. Diversi elementi sembrano entrare in gioco. Il rapporto con Parigi, per esempio. E, più in generale, lo stato dell'industria italiana, e in particolare quella del Made in Italy che dell'Italia è stata fino a oggi il motore. A chi s'interessa di queste cose, Parigi sembra essere oggi più effervescente di Milano. Francese è la proprietà dei due grandi del lusso, Lvmh e Gucci, che a loro volta controllano, soprattutto Lvmh, diversi marchi nel mondo, tra cui I'italiana Fendi. E se è vero che molti manager italiani sono andati a occupare poltrone di assoluto rilievo in gruppi internazionali, è anche vero che questo porta uno scambio di conoscenze importanti.
Su questo confronto con la Francia Vittorio Giulini, presidente di Sistema moda Italia, l'associazione dell'industria del tessile-abbigliamento, non è per nulla d'accordo. «Calvin Klein ha appena detto che sta eliminando le licenze perché vuol controllare la produzione, cos'altro è se non il modello italiano? Vince la filiera, e se ci sono aziende di filiera che non hanno buoni risultati è perché hanno sottovalutato i mezzi necessari per arrivare alla filiera e oggi hanno un indebitamento altissimo. Quanto alla Francia, noi abbiamo un surplus di 14 miliardi di euro, mentre il sistema industriale francese si sta sgretolando; che poi Lvmh, o Hermés, o Chanel siano leader, ma sono pieni di aziende che chiudono».
«Il problema non è la Francia, dice Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda, ma il fatto che siamo inondati da prodotti meno validi, meno belli e meno affidabili, ma che costano meno. Che in Italia ci sia una perdita di competitività è drammaticamente vero. Il sistema tessile abbigliamento moda europeo, e quello italiano, che è il più rilevante nell'Europa comunitaria e dell'Ovest, in particolare, è sottoposto a una pressione concorrenziale e competitiva senza precedenti», sostiene Boselli. Persa la fascia bassa, oggi i problemi riguardano la fascia intermedia «che è messa in discussione dalle produzioni sempre più competitive, di provenienza extracomunitaria e di qualità sempre pi� accettabile, da parte del consumatore occidentale».