L'inversione di tendenza, ammessa da Tadashi Yanai, presidente di Fast Retailing, il gruppo che controlla il marchio Uniqlo, ha scosso il Giappone e non solo quello finanziario (l'azione, dopo il profit warning per l'anno fiscale in corso, giunto a sorpresa l'8 gennaio scorso, ha ceduto quasi il 50%). Perché Uniqlo era una delle rare storie di successo, in questa fase depressiva dell'economia del Sol levante.
La svolta arriva negli anni Novanta, quelli della crisi economica, che aprono nuovi spazi agli outsider. Nel 1994 Fast Retailing viene quotata alla Borsa di Tokio, ma la corsa vera inizia nell'anno fiscale 1998-99: allora il fatturato totalizza 111 miliardi di yen, al cambio attuale quasi un miliardo di euro.
Nel 2000-2001 siamo già a 420 miliardi di yen, con margini operativi di quasi il 25%. L'anno scorso Yanai, dopo aver compiuto 52 anni, si vede ammesso all'olimpo dei primi 100 contribuenti del Sol levante, al numero 31. La formula del successo è semplice: «Proporre articoli di base a prezzi ragionevoli», spiega lui come se fosse la cosa più semplice del mondo. Di fatto, Yanai ha un'intuizione che può apparire scontata oggi, ma non lo en, almeno in Giappone, fino a pochi anni fa: produrre in Cina a prezzi ridotti, facendo però appello a subfornitori selezionati e controllati da tecnici inviati da Yamaguchi, abituati alla qualità totale nipponica. Un catalogo di capi ridotto, ma �fresco� e per tutte le età ha fatto il resto: Uniqlo diventa pura isteria.
La febbre contagia anche il titolo in Borsa, che l'8 maggio 2000 raggiunge l'assurda quotazione di 56mila yen. Dall'estate scorsa comincia a emergere qualche avvisaglia della crisi. Ma il profit warning annunciato l'8 gennaio è andato oltre le previsioni più pessimistiche: nell'anno fiscale 2001-2002, che per Fast Retailing si conclude ad agosto, l'utile operativo si ridurrà del 23% su base annua (scendendo comunque a 79 miliardi di yen, una cifra ancora �interessante� visti i tempi che corrono nell'arcipelago), mentre il fatturato si assottiglierà del 7%, portandosi a 390, nonostante nel frattempo i punti vendita disseminati nel Paese abbiano continuato ad aumentare.
sintesi dell'articolo di Leonardo Martinelli a cura di Pambianconews