Lo scontro tra Unione Europea e Cina sui veicoli elettrici potrebbe avere delle conseguenze anche sul lusso. A suonare il campanello di allarme è Reuters, che ipotizza l’estensione di un’imposta sui consumi da parte di Pechino alle luxury bag provenienti dall’Europa. La mossa si inserirebbe in un nuovo piano di Xi Jinping per punire l’Ue, che dallo scorso giugno ha ingaggiato una battaglia per imporre tariffe aggiuntive — fino al 38% del valore iniziale — sull’import delle auto elettriche prodotte in Cina. Se Bruxelles voterà a favore, l’intervento diventerà vincolante per i prossimi cinque anni al più tardi entro novembre. Nonostante le indagini antidumping avviate finora come reazione dal governo cinese, è possibile che il presidente Xi Jinping tiri dritto di fronte a nuovi dazi. Con gli Stati Uniti più ostili, l’Europa è infatti un mercato strategicamente importante per la Repubblica Popolare. Tuttavia, secondo Reuters, non sarebbe nemmeno da escludere una sorta di colpo di coda cinese che andrebbe a colpire proprio i beni di lusso europei, in particolare borse, profumi, scarpe e abbigliamento, che nel 2023 hanno rappresentato 11 miliardi di euro di importazioni.
Ci sono una serie di ragioni per cui questo tipo di beni si presterebbe a una ritorsione cinese per mezzo dell’introduzione di un’imposta già in vigore per 15 categorie di prodotto, di cui solo sei riconducibili al lusso: orologi di fascia alta, cosmetici, gioielli, yacht, attrezzature da golf e auto sportive. Tutti articoli che vengono tassati con aliquote variabili che si aggiungono all’imposta standard sul valore aggiunto del 13 per cento. Così, gli orologi che superano i 10mila yuan (1.270 euro al cambio attuale) sono tassati del 20%, mentre i diamanti del 5 per cento. A prestare il fianco ad un intervento cinese sul lusso c’è in primo luogo il fatto che esso non è essenziale all’economia locale. Se i prezzi aumentassero ulteriormente, a farne le spese sarebbe un numero limitato di consumatori: secondo Bain&Co., il 2% più ricco dei clienti cinesi rappresenta infatti circa il 40% delle vendite di lusso.
Un secondo fattore è rappresentato dalle dinamiche interne all’Europa. A differenza della Germania, che conta sulla Repubblica Popolare come grande mercato per le sue auto e con cui la Cina commercia beni di prima necessità come i prodotti chimici, la Francia è stata una sostenitrice particolarmente convinta dei dazi sui veicoli elettrici. E la Francia, assieme all’Italia e alla Spagna, è uno dei principali esportatori di beni di lusso in Cina. Nel 2023, un terzo del totale delle borse importate nella Repubblica Popolare veniva dalla Francia, pari a un business di quasi 2 miliardi di euro secondo i dati del Centro per il Commercio Internazionale. In questo quadro, il gruppo Lvmh sembra essere l’attore con più posta in gioco, con i suoi 24 miliardi di euro di esportazioni di fashion & leather goods che hanno rappresentato il 4% delle esportazioni totali francesi nel 2023, secondo uno studio della società di consulenza Asterès.
Estendere questo tipo di imposta ai prodotti di lusso in entrata dei grandi player europei come Lvmh e Kering sarebbe relativamente facile, spiega Reuters. Infatti, non solo non si tratterebbe di un intervento in contrasto con le regole commerciali, ma la maggior parte di queste tasse verrebbe riscossa direttamente dall’agenzia doganale all’arrivo in Cina. L’idea pare inoltre godere del sostegno dell’opinione pubblica locale, inserendosi in una tendenza più ampia che ha visto Pechino spingere per una riforma fiscale interna, con le amministrazioni locali bisognose di nuove fonti di reddito per ripagare i debiti delle infrastrutture, mentre la crisi del settore immobiliare soffoca la loro principale fonte di entrate, cioè la vendita dei terreni.
Una risposta all’Ue di questo tipo da parte della Cina potrebbe quindi mettere in difficoltà i colossi del lusso che già risentono della frenata del settore con epicentro proprio nel Paese del Dragone. La Cina è infatti responsabile della maggior parte dei ricavi in Asia sia per Lvmh che per Kering e nel 2023 entrambi vi hanno registrato circa un terzo delle loro vendite complessive globali. Inoltre, l’introduzione di un’imposta sul lusso potrebbe spingere un sempre maggior numero di consumatori cinesi a fare acquisti all’estero. In Giappone, ad esempio, l’aumento dei turisti dalla Cina e la debolezza dello yen hanno portato a un aumento delle vendite del 57% per Lvmh tra aprile e giugno. Ma sarebbe comunque un risultato peggiore rispetto allo stato attuale, visto che, secondo JPMorgan, i prezzi in Giappone sono mediamente più bassi del 12% rispetto alla Cina. Se dal punto di vista di Xi Jinping colpire il settore del lusso sarebbe un modo relativamente indolore per vendicarsi di Bruxelles, nel caso in cui l’Europa non faccia marcia indietro sulle auto elettriche, per i conglomerati europei del lusso in crisi la mossa potrebbe rivelarsi un ulteriore colpo critico. E anche se non c’è certezza sul concretizzarsi di questo scenario, a differenza di molti altri modi che la Cina avrebbe di mettere i bastoni fra le ruote all’Europa, questo sembra relativamente semplice sia dal punto di vista politico che da quello pratico.