Parigi continua a essere nel mirino del mercato immobiliare da parte dei grandi gruppi della moda e del lusso, a conferma che il trend di investimenti nel real estate da parte dei colossi del fashion è tutt’altro che finito.
Mentre Chanel ha recentemente rilevato un edificio nella prestigiosa Avenue Montaigne, al numero 42, dove è situata la sua boutique, Hermès ha da poco acquistato i muri del suo flagship parigino in Rue de Sèvres, nel settimo arrondissement, secondo quanto riportato da CFNews Immo, che sostiene oltretutto che la label abbia rilevato i locali della boutique – e non l’intero edificio, appunto -, da Sylvain Fargeon, che ne era proprietario dal 2005. La maison francese avrebbe speso quasi 300 milioni di euro per questa operazione.
Anche il fast fashion si sta muovendo in questa direzione. Il fondatore e maggiore azionista di Inditex, Amancio Ortega, attraverso il suo braccio di investimento Pontegadea – tra le principali realtà immobiliari spagnole -, sta continuando a rafforzare il suo portafoglio immobiliare con l’acquisizione di un office building a Parigi, per l’appunto, situato vicino all’Opéra, per un valore stimato di 200 milioni di euro. L’acquisto di questa proprietà, situata al numero 14 di Halévy Street e con una superficie di 10mila metri quadrati, rappresenta il più grande investimento nel centro della Ville Lumière di quest’anno, secondo quanto riportato dalla testata finanziaria francese CFNews. Questa mossa arriva poco dopo l’acquisizione da parte di Ortega di asset logistici in Italia per 327 milioni di euro.
Come riporta Fashion Network, all’inizio di quest’anno, Ortega, che ha iniziato a concentrarsi sugli asset logistici nel 2022, ha anche acquistato un office building in Lussemburgo per 165 milioni di euro. Oltre a queste operazioni, il fondatore di Inditex ha completato l’acquisizione di un hub logistico nei Paesi Bassi da Blackstone per 100 milioni di euro, attualmente affittato a Primark. Nella lista si inserisce anche l’acquisito di una struttura logistica vicino a Vancouver, in Canada, affittata ad Amazon, per quasi 260 milioni di euro.
La tendenza è quella di un effetto domino, come ha spiegato Luca Solca, senior research analyst, global luxury goods di Bernstein, durante la decima edizione dell’Altagamma Consumer and Retail Insight, tenutasi lo scorso luglio a Milano. “Negli ultimi cinque anni i grandi gruppi del lusso principali hanno speso nel retail circa 10 miliardi di euro, con una forte accelerazione degli investimenti negli ultimi 18 mesi”, commenta l’analista. “Le strade principali hanno visto la massima concentrazione di questi investimenti: Via Montenapoleone a Milano, 5th Avenue a New York, Champs Elysees e Avenue Montaigne a Parigi, Bond Street a Londra. La topografia del retail di lusso in queste città sta cambiando. Gli investimenti dei gruppi più importanti stanno generando un effetto domino, portando chi può permetterselo ad avviarsi nella stessa direzione. Il rischio percepito è quello di vedersi esclusi dalle location più importanti, nello stesso modo in cui questo sta avvenendo nei migliori shopping malls in Cina”.
È dello scorso aprile per esempio l’acquisizione di Kering – da Blackstone Property Partners Europe – dell’immobile di via Montenapoleone 8 per un valore di circa 1,3 miliardi di euro, azione che non ha fatto altro che confermare la necessità per i conglomerati del lusso di assicurarsi beni di prim’ordine in posizioni insostituibili per i loro negozi più importanti. Salta all’occhio come lo stabile sia occupato anche dal negozio di Prada e dalla pasticceria Cova (che fa capo ad Lvmh, diretto competitor) che, secondo rumors, dovrebbe cambiare sede.
Tuttavia, segnala Solca, investire in immobili deprime il ritorno sul capitale investito (Roic), ancora di più per quelle aziende che hanno un flusso di cassa e una base di capitale investito minore e rappresenta, quindi, un’operazione ‘a perdere’. In altre parole, il ritorno dell’investimento per tutte quelle realtà che hanno una generazione di cassa moderata rischia di diluirsi ed esasperarsi talmente tanto da avere un impatto negativo sugli investimenti operativi, che potrebbero quindi pesare troppo sulla cassa rimanente. “Questo accade perché il ‘rental yield’ di un immobile commerciale come quelli che ospitano i negozi del lusso è di circa il 2 per cento. Diluire il Roic è negativo, perché si accompagna a un peggioramento della performance di Borsa e una contrazione del multiplo. Questo può portare a una diminuzione del valore e al rischio di trovarsi più esposto come potenziale bersaglio di acquisizione”, ha spiegato Solca.
Come ha evidenziato a luglio l’analyst di Bernstein, seppur i giocatori di questa ‘scacchiera immobiliare’ siano tutte realtà ben piantate e con una buona base economica, è importante per le aziende del lusso minori comunque non imitare la strategia dei gruppi più grandi. “In concreto, questo può tradursi nel ritornare su vie che oggi sono meno valorizzate (come Via della Spiga a Milano o Madison Avenue a New York), essere pronti a scoprire nuove aree che potranno assumere maggiore importanza, dedicarsi all’apertura di negozi per i Vic (Very Important Clients) su appuntamento, con costi operativi che sono meno di un decimo dei costi di un negozio su strada”, ha concluso Luca Solca.