Primo semestre in frenata per la pelletteria italiana, che ha chiuso la metà del 2024 con un arretramento dell’export (-9,4% nei primi cinque mesi) e un mercato interno che procede a rilento (-0,8% le vendite al dettaglio, inferiore del 4,8% rispetto ai livelli già bassi del 2019 pre-Covid). È questo lo scenario tratteggiato dall’analisi congiunturale di Assopelletteri e confermato da Danny D’Alessandro, direttore generale dell’associazione di categoria, in occasione dell’edizione numero 126 di Mipel, kermesse dedicata al mondo della pelletteria e dell’accessorio moda e terminata il 17 settembre presso gli spazi di Fiera Milano Rho.
Guardando i dati di Assopellettieri, sono stati “pesanti” le ripercussioni sul fatturato, sceso del 10% all’interno del campione delle aziende associate e sui ritmi di attività delle imprese (-19% secondo l’indice Istat della produzione industriale), con un’impennata nel ricorso alla cassa integrazione (+138,5% nella filiera pelle). Analogamente ai flussi in uscita, cala anche l’import, che nei primi cinque mesi dell’anno ha registrato una riduzione dell’8,9% a valore. Nei dati occupazionali, che contano una contrazione di 1.832 addetti da gennaio a fine giugno, iniziano ad affiorare le conseguenze di oltre un anno di forte rallentamento congiunturale: annullato in sei mesi, infatti, il recupero che il settore aveva conseguito nell’intero 2023, ed è pari a -84 unità il saldo delle aziende. Pronosticato più lontano il momento della ripartenza, precedentemente atteso per la seconda metà dell’anno in corso, ora sperato almeno per la prima metà del 2025.
Con la frenata economica sia all’interno che fuori dai confini dell’Europa (come Usa, Cina e Germania), la guerra tra Russia e Ucraina in corso da oltre due anni e mezzo e il conflitto in Medio Oriente, oltre alla pressione inflattiva, si è erosa la fiducia dei consumatori, spiega la nota, orientandone in negativo le scelte d’acquisto. Le vendite di beni del comparto moda e accessori hanno risentito marcatamente di queste dinamiche, che hanno interessato tutte le fasce di prodotto, compresa quella del lusso.
Sembra non mancare, però, soprattutto nel valle della filiera, che ha trovato spazio tra i corridoi di Mipel, un’aspettativa di ripresa, sebbene ancora da delinearsi: “Certamente sono ormai lontani i fasti degli anni Duemila – ha raccontato a Pambianconews D’Alessandro – ma nonostante questo abbiamo assistito a una buona presenza di compratori internazionali, provenienti anche da Nord America, Giappone e Corea, e tra gli espositori si è respirato in questi giorni abbastanza entusiasmo che è un segnale decisamente positivo”.
Complessivamente, il conteggio delle fiere del prodotto finito (nel quale confluisce anche Mipel insieme a Micam, Milano Fashion&Jewels e The One Milano, ndr) ha raggiunto 40.950 visitatori, numero in lieve calo (-3%) rispetto all’edizione dello scorso anno ma che si compone di un 45% di visitatori provenienti da 140 Paesi esteri, a conferma della vocazione internazionale della cordata fieristica.
Indubbiamente, lo scenario che ha fatto da sfondo alla kermesse resta “preoccupante”. E per quanto riguarda le inversioni di rotta, i cui primi segnali potrebbero arrivare dal monte della filiera (rappresentato da Lineapelle e Unic), è ancora difficile scorgerli, ammette D’Alessandro. “La seconda metà di quest’anno, ormai avviata, sembra ancora allineata al trend del primo semestre, come si evince anche dal sentiment delle aziende che popolano gli stand della fiera. Diventa quindi necessario aspettare l’avvento del 2025”.
Necessario anche, sottolinea il manager, “dimostrarsi in grado di cogliere i segnali del presente, interpretando soprattutto gli aspetti macroeconomici. Qualcosa potrebbe muoversi da novembre con le elezioni presidenziali negli States e che potrebbero alterare anche lo scacchiere del Medio Oriente, non privo di ripercussioni sulla nostra industry”.
Fondamentale, poi, “lasciare che questa resti una crisi dei consumi e non della competitività”, facendo in modo di “mantenere alto il nostro ruolo nel manifatturiero e cogliendo magari anche l’occasione per poter riportare in Italia alcune produzioni che in questo momento non guardano a noi come un Paese competitivo”. E poi “investire seriamente nell’accesso al mondo del lavoro, incrementando la formazione da un lato e dall’altro lavorando sul cuneo fiscale, grande tema che la nostra imprenditoria si porta dietro come un fardello”.
Se si tratti, ad ogni modo, di una crisi passeggera o un cambiamento strutturale nella filiera è ancora troppo presto per dirlo, sottolinea con cautela D’Alessandro. “È come se avessimo appena subito un infortunio sul campo da gioco, ora dobbiamo capire qual è l’entità del danno continuando, nel frattempo, a investire nei nostri capisaldi. Importante far passare alle aziende e ai consumatori un messaggio di solidità in questo senso: i brand sono ancora fortemente legati all’Italia e alla nostra filiera, che ha gli anticorpi per uscire da quest’impasse”.