È oltreoceano il mercato con il più alto potenziale per il made in Italy. Questo quanto emerge dal 12esimo rapporto stilato dal Centro Studi di Confindustria, ‘Esportare la dolce vita – Bello e ben fatto: il potenziale del made in Italy nel panorama internazionale’, che stima per gli Statu Uniti un export aggiuntivo da 22,6 miliardi di euro.
Il ‘bello e ben fatto’ (Bbf), come ricorda l’indagine della federazione, identifica quei prodotti dall’elevata qualità e distribuiti in tutti i comparti produttivi, rappresentativi dell’eccellenza italiana in termini di design, cura dei dettagli, materiali e lavorazioni scelti. Un fiore all’occhiello le cui esportazioni valgono 122 miliardi di euro, 104 verso i Paesi avanzati e 19 verso i Paesi emergenti, ma hanno un potenziale di incremento di altri 96 miliardi.
I pilastri portanti del Bbf sono le 3 F di Fashion, Food e Forniture, a cui si affiancano la ceramica, la cosmetica, la nautica e l’industria automobilistica per 711 categorie di prodotto complessive. Per individuare i territori con possibili margini di crescita gli analisti hanno considerato i Paesi già esportatori in un dato territorio, con caratteristiche simili all’Italia ma con performance superiori.
Se gli Stati Uniti spiccano con il più alto potenziale in termini assoluti, determinato in larga parte anche dalla dimensione del mercato stesso, elevate potenzialità sono emerse anche in Germania, Giappone e Regno Uniti che, nel complesso, valgono 14,3 miliardi di euro di esportazioni possibili in più, oltre a quelle effettive, raggiungibili in un orizzonte di medio periodo.
Menzione d’onore per la Corea del Sud, tra le nuove frontiere innanzitutto del fashion & luxury, con un potenziale sfruttabile del 65% (sul massimo di export ottenibile in linea teorica).
“In generale – osservano gli analisti- rimane vero che strutturalmente i margini di miglioramento sono più ampi nei Paesi in cui l’export italiano è tradizionalmente meno presente. Oltre che nei mercati avanzati asiatici, anche in Belgio (2,7 miliardi), Austria (2 miliardi) e Portogallo (1,3 miliardi), Paesi dell’Unione economica e monetaria dell’Unione europea, l’Italia potrebbe teoricamente esportare molto di più, così come si evince dai potenziali percentuali che indicano margini di miglioramento di poco inferiori o superiori al 50 per cento”.
Guardando al tessile-moda, nella sua accezione più ampia, e nell’ambito dei Paesi avanzati, gli Usa continuano a brillare per potenziale ancora inespresso, che secondo Confindustria Moda ammonta a 5,1 miliardi di euro nel caso dell’abbigliamento e tessile casa, 2,3 miliardi per le calzature, 257 milioni per la pelletteria, 520 milioni per l’occhialeria.
Segue la Corea del Sud, con 1,8 miliardi di euro di potenziale per abbigliamento e tessile casa, 285 milioni per le calzature, 213 milioni per la pelletteria. La terza area per margine di miglioramento è il Giappone in abbigliamento e tessile casa (1,8 miliardi) e pelletteria (208 miliardi). Le calzature vedono invece al terzo posto la Germania (280 milioni di export potenziale).
Spostando l’analisi ai mercati emergenti emergono volumi inferiori rispetto alle stime degli avanzati, ma un notevole potenziale di crescita; su questo fronte i primi Paesi per potenziale di esportazioni di Bbf italiano sono la Cina e l’Arabia Saudita,. con rispettivamente 2,4 e 2 miliardi di euro.
Russia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti hanno un potenziale che vale 4,3 miliardi di euro, ma da ridimensionare alla luce delle misure di embargo commerciale verso la Federazione Russa adottate dalla Ue in seguito all’invasione dell’Ucraina.
In definitiva, il segmento abbigliamento e tessile casa ha un potenziale di export sfruttabile nel mondo di 18,7 miliardi di euro, superato solo dal segmento alimentari e bevande che, tra le voci del Bbf, totalizza 21,2 miliardi. Per le calzature sono stati stimati 5,9 miliardi, mentre per i gioielli 3,1 miliardi. Seguono la pelletteria (2,2 miliardi) e l’occhialeria (1,1 miliardi).
Cruciale per il settore moda, il tema della frammentazione: quello tricolore è un tessuto composito, con oltre 60mila imprese che, a differenza di altri scenari come quello francese, fa più fatica a creare sinergie e alleanze di sistema. E poi, più in generale, sottolinea la federazione, c’è al centro il tema della sostenibilità, indispensabile affinché le aziende e i loro prodotti siano competitivi nei mercati internazionali, adottando nuovi modelli di crescita improntati non solo al profitto ma alla responsabilità ambientale e sociale.