Sono tempi difficili per l’America di Joe Biden e Kamala Harris, all’indomani della già storica sentenza della Corte Suprema Usa che ha abolito l’aborto a livello federale. Ribaltata la sentenza Roe v. Wade, che dal 1973 garantiva il diritto all’interruzione di gravidanza in tutto il territorio nazionale, si sono sollevate ovunque manifestazioni di protesta e dichiarazioni di dissenso da parte di cittadini e figure istituzionali.
E anche da parte della moda a stelle e strisce, naturalmente. “È un tragico errore”, ha commentato il presidente Biden: con l’attuale decisione della Corte ogni singolo Stato federato potrà decidere da sé la legislazione da adottare sul tema dell’aborto, con il risultato che sono già 9 quelli ad averlo vietato.
Il mondo del fashion non ha tardato a pronunciarsi in merito. Negli ultimi anni politicamente impegnata e socialmente coinvolta, dal ‘Me Too’ ai movimenti femministi fino alle proteste post-elezione di Donald Trump, la moda Usa ha diffusamente preso le distanze dalla sentenza antiabortista di Washington; molti dei fashion brand statunitensi hanno dichiarato l’intento di coprire le spese di viaggio necessarie alle proprie dipendenti che avessero necessità di spostarsi per ricorrere alle pratiche abortive.
Prima fra tutti a prendere posizione in questo senso la sempre militante Patagonia, affiancata da Levi’s e Gap. Tra i simboli dell’americanità, non poteva non aggiungersi al coro anche Ralph Lauren: “Continueremo a rispettare il diritto alla scelta personale quando si tratti di decisioni sanitarie individuali”, ha dichiarato il marchio in una nota -. Continueremo a sostenere coloro che necessitino di servizi di assistenza sanitaria riproduttiva, inclusa la copertura dei costi associati ai viaggi per i dipendenti che cercano assistenza fuori dallo stato, come facciamo già per una serie di altri servizi sanitari”.
Gli fa eco Victoria’s Secret, celebre marchio di lingerie femminile recentemente andato incontro a un profondo rebranding che ha fatto sentire la propria voce in difesa “del diritto delle donne all’autodeterminazione”.
“Sono indignata per la sentenza della Corte Suprema”, ha dichiarato incendiaria la stilista Tory Burch. Proseguendo: “Dare potere alle donne è il principio guida della nostra azienda e ci impegniamo a garantire che i nostri dipendenti abbiano accesso alle cure di cui hanno bisogno, indipendentemente da dove vivono”.
Dello stesso avviso anche Capri Holdings, gruppo newyorkese a cui fanno capo Versace, Jimmy Choo e Michael Kors: “Alla luce del recente ribaltamento della Roe v. Wade, abbiamo ampliato i nostri benefit volti ai diritti riproduttivi negli Stati Uniti per supportare le donne nell’ottenere pratiche abortive non disponibili nel loro stato di origine. Siamo orgogliosi di compiere questo importante passo a sostegno delle nostre dipendenti”.
Parole inequivocabili anche da parte della moda più istituzionale, rappresentata dalla voce dell’amministratore delegato del Counsil of Fashion Designers of America (Cfda), Steven Kolb. “Le donne sono al centro dell’industria della moda e meritano il diritto di scegliere – ha dichiarato il CEO dell’associazione -. Come organizzazione, supportiamo i nostri membri e i loro dipendenti che si oppongono alla decisione della Corte Suprema di ribaltare la Roe v. Wade e sappiamo che qualsiasi tipo di restrizione a un’assistenza riproduttiva completa, compreso l’aborto, può avere un impatto negativo sul benessere, l’indipendenza e la stabilità economica delle imprese, dei lavoratori e dei clienti”.
Intanto, anche nel Vecchio Continente il sistema moda prende posizione di fronte a un evento epocale caduto come una scure sui diritti delle donne americane e di tutto il mondo. Da Pierpaolo Piccioli di Valentino fino a Matthieu Blazy di Bottega Veneta o Etro, sono tanti i protagonisti del fashion che si sono mostrati pubblicamente preoccupati per la deriva estremista che vede in pericolo conquiste apparentemente acquisite. In particolare modo Gucci ha dichiarato che l’azienda fornirà il rimborso delle spese di viaggio a qualsiasi dipendente negli Stati Uniti che abbia bisogno di accedere all’assistenza sanitaria non disponibile nel proprio stato. Attraverso la campagna globale ‘Chime for Change’, Gucci continuerà inoltre a sostenere le organizzazioni partner che consentono l’accesso alla salute riproduttiva e proteggono i diritti umani, soprattutto per i più vulnerabili.
Tra i tanti anche Chiara Ferragni, che in un post pubblicato sul proprio profilo Instagram ha indossato il volutamente provocatorio top firmato Jean Paul Gaultier x Lotta Volkova, pensato per simulare il colore della pelle e mostrare sul davanti due seni nudi. La caption? Nient’altro che lo slogan che accompagna come un inno le proteste che stanno attraversando tutto il mondo: “My body, my choice”.