È calato il sipario sulla Cop26, tenutasi fino a venerdì a Glasgow. La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si è chiusa nella delusione generale, tra propositi disattesi e impegni considerati insufficienti, ma certamente la moda ha giocato un ruolo chiave all’interno della tavola rotonda 2021. Responsabile tra il 2% e il 10% delle emissioni globali, il fashion si conferma una delle industrie più inquinanti al mondo, nonostante gli sforzi per intraprendere la via della sostenibilità.
Di fronte alla necessità di stilare obiettivi più ambiziosi, il congresso Onu sembra aver fatto dei passi avanti sul versante moda. Il programma United Nation Climate Change ha dato vita a una nuova versione della Carta della Moda, siglata nel 2018 e sottoscritta da una parte significativa di questa industria: si tratta di 130 aziende e di 41 organizzazioni di supporto che includono alcuni dei marchi più di influenti del settore, ora impegnati a ridurre drasticamente le emissioni entro la fine del decennio per allinearsi all’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature globali medie sotto 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali.
Come recita la nuova versione del documento, i firmatari devono impegnarsi a raggiungere le emissioni zero entro il 2050, dimezzandole entro il 2030 anziché riducendole del solo 30%, come precedentemente pattuito. Il nuovo accordo, naturalmente, non significa che il traguardo verrà raggiunto facilmente e con uniformità all’interno del panorama moda, a cui è richiesta una trasformazione radicale in termini di tempi e modalità produttive.
“È importante alzare l’asticella”, ha affermato Claire Bergkamp, direttrice operativo di Textile Exchange, riporta Business of fashion. “Aspettarsi che un’azienda cambi in sei mesi non è realistico, ma i segnali politici potrebbero avere un grande impatto”. Questa settimana più di 50 marchi hanno sostenuto un appello condotto da Textile Exchange per apportare delle modifiche alla politiche commerciali che incoraggino l’uso di materiali con un minore impatto ambientale, come il cotone organico o il poliestere riciclato. E, come dicono a gran voce tutti i player del settore, è indispensabile che gli enti governativi collaborino al ripensamento dell’intera filiera, accompagnando un processo ormai non più rimandabile.