La Grande Mela è diventata insapore. A pochi giorni dall’inizio della New York fashion week (7-12 febbraio), Jeremy Scott ha annunciato che non sfilerà più durante il giorno d’apertura della manifestazione, ma che trasferirà il suo défilé a Parigi il prossimo luglio. L’inaspettata decisione del designer statunitense aggiunge un ulteriore vuoto a un calendario sbiadito. I nomi emergenti non mancano, ma i big names scarseggiano. Ralph Lauren non ha ancora confermato la sua presenza, mentre Tommy Hilfiger porterà il suo show ‘see now-buy now’ a Londra. Come di consueto Marc Jacobs chiuderà la Nyfw, ma prima di lui i luxury brand storici sono una manciata: Carolina Herrera, Oscar de la Renta, Michael Kors, Vera Wang, Tory Burch. La presenza della seconda generazione di marchi affermati capitanata da Jason Wu, Proenza Schouler, Rodarte e Prabal Gurung non riesce a bilanciare l’assenza di molti altri designer che erano riusciti a fare breccia nel segmento lusso agli inizi del nuovo millennio.
“Tutti hanno dato il via al proprio business negli Stati Uniti prima della recessione economica, in un periodo il cui l’interesse per nuovi nomi promettenti era alto. Sono stati costruiti profili elevati, si sono sviluppati business e investitori, alcuni marchi europei si sono affacciati alla porta”, ricorda Vogue Business analizzando l’attuale situazione Oltreoceano. Tuttavia, non funziona più la consueta strategia basata sulla vendita delle proposte ready to wear affiancata dal lancio di borse e scarpe, seguita dall’apertura di qualche store e dal lancio di un profumo.
Un’intera generazione di designer, da Zac Posen a Carol Lim e Humberto Leon di Opening Ceremony, non è riuscita a tenere il passo con la crescente comunicazione mordi-e-fuggi dettata dai social network ed è stata superata dai mega gruppi del lusso, dal fenomeno streetwear, dal resale online.
“C’è la possibilità di essere il prossimo Ralph, Calvin, Donna o anche Marc Jacobs e Michael Kors? Che io ricordi non ne ho visti negli ultimi 20 anni”, dichiara il luxury retail consultant Robert Burke. Tra i disertori della Nyfw c’è anche Phillip Lim: “Non è un segreto per nessuno – dichiara il CEO Wen Zhou – che i cambiamenti nell’industria hanno reso il nostro business molto impegnativo. Così, anziché continuare a girare come criceti, abbiamo scelto di prenderci una pausa dando al nostro team creativo lo spazio per respirare, rivendicando la necessità di creare liberamente piuttosto che in modo reattivo”.
Infine la decisione di Tom Ford, presidente del Cfda – Council of Fashion Designer of America, di spostare la sua sfilata da New York a Los Angeles non ha certo contribuito a divulgare un senso di unità. “È stata una scelta naturale per me – ha dichiarato Ford a Wwd -. Los Angeles è casa mia e ha un impatto rilevante sul mio modo di vivere e lavorare, sia nella moda sia nel cinema. Quest’anno, il calendario della fashion week a New York si sovrappone al weekend degli Oscar, e l’ultima volta che è successo ho presentato qui e ha funzionato abbastanza bene”. Chissà se la sua strategia funzionerà altrettanto bene per il futuro della Nyfw.