Pinault supera Arnault nella top100 dei CEO

François-Henri Pinault
Torna anche quest’anno la classifica dei 100 CEO più performanti stilata da Harvard Business Review (Hbr). La classifica, elaborata calcolando le prestazioni finanziarie e i parametri ambientali, sociali e di governance (Esg) delle aziende, quest’anno ha incrementato l’incidenza del rating Esg dal 30 al 20 per cento. Dominano l’elenco i numeri uno dei colossi della tecnologia mentre rallentano, invece, i manager dei brand del fashion.
A occupare il primo posto del ranking è Jensen Huang, co-fondatore e amministratore delegato di Nvidia, azienda specializzata in processori grafici, schede madri e componenti per prodotti multimediali per pc e console. Huang, che lo scorso anno occupava il secondo gradino del podio, ha detronizzato dalla prima posizione lo spagnolo Pablo Isla, ex CEO di Inditex, ora ricoprente la carica di presidente (e quindi fuori classifica). Al secondo posto c’è Marc Benioff, a capo dell’azienda di cloud computing Salesforce.com, seguito da François-Henri Pinault, patron del colosso francese del lusso Kering, che ha battuto e superato il rivale Bernard Arnault di Lvmh. Quest’ultimo, dalla terza posizione 2018, è ‘affondato’ alla decima posizione.
Sempre nella top 20, ma al ventesimo posto, troviamo Mark Parker, CEO di Nike, in procinto di passare alla carica di presidente esecutivo del brand dello swoosh, che lo scorso anno ricopriva la 14esima posizione. A occupare la casella numero 54 della classifica è invece Tadashi Yanai, il magnate giapponese alla guida di Fast Retailing, la casa madre del brand Uniqlo. Nel 2018, Yanai si era aggiudicato il 35esimo posto.
L’ultimo brand del fashion è il colosso britannico del retail Next, il cui amministratore delegato, Simon Wolfson, occupa la casella numero 78.
Grande assente, quest’anno, è il CEO di Amazon Jeff Bezos, al 68esimo posto nel 2018. L’esclusione dalla classifica si lega al mancato raggiungimento, da parte dell’azienda, del punteggio Esg necessario. Stando a quanto riportato dall’analisi di Sustainalytics, società di dati Esg con cui ha collaborato Hbr, tale esclusione sarebbe da ricondurre ai rischi legati a condizioni di lavoro, politiche occupazionali, sicurezza dei dati e questioni riguardanti l’Antitrust.