La rilocalizzazione industriale in Europa porta la targa made in Italy. L’Annual Report 2017 dello European Monitor of Reshoring, ripreso da Affari&Finanza, ha censito 165 casi di aziende europee nel periodo 2014-2017 che hanno fatto il percorso inverso alla delocalizzazione, portando dentro i confini nazionali (o continentali) produzioni precedentemente esportate altrove. In questo campione, a dominare sono italiane e inglesi, con 32 operazioni, seguite dalle francesi (23) e norvegesi. Un “movimento”, questo, che ha portato un totale di oltre 11mila posti di lavoro in totale.
Il settore protagonista di questo trasloco produttivo è la moda che, come sottolineato dal rapporto Economia e finanza dei distretti industriali del centro studi e ricerche di Intesa San Paolo, ha registrato i casi di rimpatrio o potenziamento produttivo più significativi degli scorsi anni. Tra questi, come riportato sempre da Affari&Finanza, vi sono Louis Vuitton, Prada, Ferragamo, Ermenegildo Zegna, Bottega Veneta, Geox, Benetton, Piquadro, Nannini. A queste, si aggiungono le intenzioni, espresse attraverso il piano industriale al 2020, del gruppo Safilo che vuole portare in Italia il 70% della produzione degli occhiali e dei suoi componenti. Così come Stefanel e Diadora. Nonostante i casi significativi, c’è chi tende a ridimensionare il fenomeno. “Nel nostro settore non è particolarmente evidente né impattante”, sono le parole di Gianfranco Di Natale, DG di Sistema Moda Italia. “C’è poco reshoring perché negli anni scorsi non c’era mai stato un grande flusso di offshoring”.
Ma quali sono le motivazioni del rientro in patria? Secondoil rapporto dell’European Monitor, tra le motivazioni ci sono la “scarsa qualità delle produzione offshore”, i “tempi di consegna” e la “prossimità al cliente”. Non solo, anche l’aumento del costo del lavoro nei Paesi come Cina ed Est Europa può aver fatto da leva. Non a caso, infatti, l’Etiopia sta diventando la terra promessa del fast fashion cinese. Sono sempre più numerosi, infatti, gli hub produttivi che si stanno insediando nei territori del Corno d’Africa, dove, soprattutto le donne, confezionano capi di abbigliamento per una paga mensile di 25 dollari. Tra i più noti brand del fashion che si appoggiano a queste strutture anche Levi’s, Guess, H&M, Pvh con i suoi marchi Tommy Hilfiger e Calvin Klein. C’è anche un tocco di Italia tra le realtà pronte a cogliere questa opportunità. Calzedonia infatti aprirà a breve un proprio sito produttivo in Etiopia.