Le M&A della moda degli ultimi mesi parlano cinese. E non per merito dei nomi conosciuti ai più, come quello di Alibaba e del suo fondatore Jack Ma, ma attraverso realtà, consolidate in Cina, ma nuove all’Occidente, che stanno facendo incetta dei fashion brands di questa parte di mondo. Un ‘attacco’ che ha avuto il proprio apice a febbraio, con Fosun come grande protagonista: il colosso cinese ha messo due bandierine in Europa, aggiudicandosi prima la francese Lanvin, una delle griffe di alta moda più storiche, e poi l’austriaca Wolford. Queste due mosse rappresentano soltanto l’ultima parte dell’offensiva cinese che si era già fatta notare in Italia e che, a fine 2017, aveva osato anche in Svizzera, attraverso l’acquisizione di Bally da parte di Shandong Ruyi. Tanto che nessuno si era stupito di vedere spuntare il nome di Fosun anche nella corsa per La Perla, poi andata alla società di investimento privata Sapinda Holding.
I TRE BIG NAMES DALLA CINA
I grandi protagonisti delle più recenti abbuffate (di cui, inoltre, mai sono state rese pubbliche le cifre) sono tre: Fosun, Shandong Ruyi e Tencent Holdings. Tutti e tre con un passato di rapido consolidamento alle spalle (in Cina), tutti e tre con ricavi monstre, tutti e tre arrivati alla moda da ambiti anche molto distanti. Nei 26 anni dalla sua fondazione a Shanghai nel campo del farmaceutico e del real estate, Fosun ha costruito un vero e proprio impero quotato dal 2007 a Hong Kong, e diversificato nel tempo in diversi segmenti, dal turismo all’entertaiment (un nome su tutti: Club Med) fino, naturalmente, alla moda. I grandi colpi di Wolford e Lanvin seguono le acquisizioni fatte negli anni, che hanno portato il colosso a detenere la maggioranza di marchi come St.John Knits, Tom Tailor, Cosmo Lady, Folli Follie e l’italiana Caruso. Sempre nel nostro Paese, Fosun ha messo le mani su Palazzo Broggi, l’ex sede Unicredit di Piazza Cordusio a Milano. In portafoglio, questa volta sul lato cinese, Fosun ha anche un produttore di tessuti e un retailer specializzato in gioielli. Nei primi sei mesi del 2017 ha raggiunto profitti per 5,8 miliardi di yuan (circa 747 milioni di euro), in crescita del 34% sul primo semestre dell’anno precedente, e ricavi per 36.27 miliardi di yuan (circa 4,6 miliardi di euro, +11,6 per cento). Altro colosso in piena espansione è Shandong Ruyi, che a inizio febbraio ha portato a casa un nome blasonato degli accessori, Bally, fino ad allora di proprietà di Jab. In questo caso, il fil rouge che lega Shandong Ruyi alla moda è più chiaro e passa dai tessuti: si tratta di uno dei maggiori produttori tessili in Cina. Dei tre Draghi, è il più longevo. Infatti, è nato nel 1972. Ma è nei tempi recenti che ha rastrellato asset fino in America, assicurandosi la maggioranza di Invista, capogruppo di Lycra. Prima di allora, era già entrato nel capitale di un ampio portafoglio di marchi di alta gamma, tra cui Kent & Curwen, Gieves & Hawkes e Cerruti 1881, oltre ad Acquascutum e al parigino Smcp che controlla Sandro, Maje e Claudie Pierlot. La compagnia è privata e non condivide i risultati finanziari, ma Bloomberg l’ha inserita tra i 20 maggiori gruppi della moda in termini di ricavi, davanti a colossi come Under Armour, Tapestry e Michael Kors. Grazie alle continue incursioni nella moda, la stampa locale l’ha ribattezzata non a torto, la “Lvmh di Cina”. Anche l’ultimo nome ‘caldo’, Tencent, ha una storia piuttosto breve (è nato nel 1998) ed è partito in tutt’altro campo, quello del tech. I consumatori, infatti, lo conoscono più che altro come il creatore della famosissima app WeChat e del social network QQ, ma anche per le sue attività nei campi della musica, dell’e-commerce e del mobile gaming. Maggior azionista di Jd.com e super attivo nell’edilizia, a gennaio ha stretto un mega accordo con Dalian Wanda, uno degli sviluppatori di proprietà più importanti in Cina, per costruire oltre mille mall nel Paese, dimostrando un interesse spiccato per l’ominicanalità. Quotato alla Borsa di Hong Kong, gli ultimi dati disponibili, relativi ai primi nove mesi del 2017, chiusi a fine settembre, parlano di profitti per 50 miliardi di yuan, circa 6,5 miliardi di euro, in corsa del 66% anno su anno. Viste le premesse, non resta che attendere il prossimo maxi deal: a febbraio si era parlato di un interesse di Shandong Ruyi per Arcadia, la catena britannica proprietaria di Topshop. I diretti interessati hanno smentito. Ma questo è nell’ordine delle cose. Quelo che è certo è che, nella dinamica europea della domanda e dell’offerta, l’assegnazione dei ruoli è definita: quelli che comprano sono (e saranno nei prossimi mesi) i Draghi cinesi.
di Caterina Zanzi