La produzione italiana organizzata per filiere e con una fitta rete di piccole e medie imprese e distretti ha fatto sì che l’industria italiana sia rimasta fortemente radicata sul territorio domestico e, per questo, sia stata apprezzata all’estero più di quella di ogni altro Paese europeo. Questo, in estrema sintesi, è quanto emerge dalla ricerca effettuata da Eurostat (Ufficio Statistico dell’Unione Europea), e ripresa da Il Foglio, sui dati 2015 che rivela come oltre il 79% dell’export italiano sia realizzato dall’industria in senso stretto (326 miliardi di euro su 412 miliardi complessivi).
Tra i grandi Paesi dell’Euro-area l’Italia è quello che negli anni passati ha fatto il minor ricorso alle delocalizzazioni produttive e le poche realtà italiane che hanno delocalizzato si caratterizzano per le grandi dimensioni e per il desiderio di avvicinarsi a mercati lontani, più che per la necessità di abbattere i costi.
Dai risultati emerge la tesi che chi può dimostrare di produrre la maggior parte dei propri manufatti entro i confini nazionali, come l’Italia, può oggi fare di questo dato anche un elemento competitivo di marketing e di immagine, rivendicando la maggiore qualità e sicurezza di processo e prodotto delle proprie filiere industriali.
Eurostat rileva anche come in alcuni settori il made in Italy sia il più richiesto: nei prodotti tessili, nei mobili, nelle calzature, negli articoli in metallo e negli apparecchi meccanici, l’export italiano è fatto dall’industria, rispettivamente per l’87%, l’85%, il 77%, il 93% e l’89 per cento. Per questa ragione, conclude lo studio, sempre più frequentemente anche gli operatori nazionali che in passato avevano delocalizzato per obiettivi di puro costo stanno tornando sui loro passi, riportando le produzioni in Italia con il fenomeno definito “reshoring”.