Il tessile vive una fase di fermento. Dopo le acquisizioni tra il 2009 e il 2013, sono nate nuove compagini industriali. Che hanno una carta in più: la finanza.
È il 2009 quando il mondo del tessile lancia un vero e proprio grido d’allarme all’allora governo Berlusconi. Il rischio è semplicemente quello di una scomparsa graduale, ma inarrestabile, di una delle principali eccellenze italiane. Poco meno di dieci anni più tardi, si può dire, dati alla mano, che il tessile è riuscito a navigare verso acque più tranquille. Secondo i dati raccolti dal’Unione Industriale Biellese, l’export tessile del distretto è passato dagli 890,85 milioni di euro del 2010 a 1,065 miliardi di euro nel 2016, e, nel solo primo semestre del 2017, le vendite fuori confine hanno raggiunto i 588,92 milioni (+3,85). Al di là dei numeri, seppur positivi, la novità è che il tessile si è lanciato in una nuova sfida. Disegnare alleanze per dare vita a nuovi poli in grado di sostenere le esigenze in termini di dimensioni dettate dalla sfida sui mercati internazionali. Il fenomeno non è del tutto nuovo perché prima negli anni Ottanta, e poi, soprattutto proprio tra il 2009 e il 2013, nel pieno della crisi, si sono concretizzate diverse fusioni che hanno dato vita agli attuali maxi poli del tessile italiano. I nomi sono quelli dei gruppi Marzotto, Zegna Baruffa Lane Borgosesia ed Ermenegildo Zegna che aveva già avviato il consolidamento con l’operazione Agnona, circa un decennio prima dell’ingresso nella Bonotto. Va ricordato che i concetti ‘alleanza’ e ‘integrazione’ hanno sempre avuto poco spazio nel Dna imprenditoriale del settore. Ci sono casi storici in cui quei concetti sono divenuti ostacoli insormontabili. Nel 2009, dopo mesi di trattative, l’accordo di fusione tra Mantero e Clerici Tessuto sfuma all’ultimo. Prima ancora, negli anni Ottanta si vocifera di un possibile matrimonio tra il gruppo Marzotto e il gruppo Gft (Gruppo finanziario tessile) per la creazione di un polo del settore tessile-abbigliamento, ma non si va al di là dell’ipotesi. Oggi, con il sostegno nuovo e strategico della finanza, sembra dunque scattata una nuova fase di consolidamento. E, nell’Olimpo del tessile, ci sono player, come Brandamour e Imprima, che sembrano decisi a proporsi come nuovi poli tessili.
BIELLACENTRICI
Biella caput mundi. Da sempre, la provincia piemontese fa da cornice alle principali aziende della lana. Ed è proprio qui che si stanno moltiplicando le operazioni di M&A del settore tessile. I riflettori si sono accesi negli ultimi mesi su Brandamour. È questa la società che si è aggiudicata la maggioranza dello storico Lanificio Fratelli Cerruti, l’azienda di tessuti di Nino Cerruti. Un’operazione tutta giocata in casa, quanto meno a livello geografico. Brandamour è infatti una realtà emergente capitanata da una coppia di imprenditori del luogo, Nicolò Caneparo e Matteo Tempia Valenta (che ha chiamato la società col soprannome di un bisnonno). I due soci, con un passato rispettivamente nell’ambito finanziario e in quello dei media, hanno deciso di riportare agli antichi splendori marchi del Made in Italy messi in difficoltà dalla crisi. Così hanno iniziato con la F.lli Ormezzano nel biellese, acquisita nell’estate del 2015 da parte di Need srl, azienda tessile biellese nata nel 2007 come tessitura conto terzi, e poi confluita in Brandamour. Poi sono seguite le acquisizioni di Luigi Botto, e a giugno del 2016 di Botto Fila e il passaggio di tutto il pacchetto sotto il nome di Brandamour grazie ad un aumento di capitale da 7 milioni di euro, in cui è intervenuto come partner istituzionale il fondo australiano Hermitage investment group, con sede a Dubai. Un ulteriore tassello è arrivato una manciata di mesi più tardi, a settembre, con l’acquisizione di D’Avenza, brand di lusso specializzato in sartoria maschile, che ha portato il fatturato del gruppo a quota 20 milioni di euro. Ad aprile di quest’anno, poi, il salto di qualità con l’acquisizione della maggioranza del lanificio Fratelli Cerruti, uno dei marchi storici del tessile italiano con oltre una sessantina di milioni di ricavi che, attraverso quest’operazione studiata con l’ottica dell’integrazione tra aziende, punta anche a mettere in atto un cammino di rilancio. Per Brandamour il deal dovrebbe portare il turnover complessivo a quota 90 milioni, una cifra che lo avvicina ai grandi gruppi tessili italiani che viaggiano, in generale, sul centinaio di milioni di euro di giro d’affari.
SENZA CONFINI
Se Biella rappresenta un campo di gioco importante, le partite però si giocano ormai su confini assai più estesi. E non è un caso che l’altro player protagonista di questa fase di consolidamento punti già, sin dall’esordio, alle sinergie con l’estero. Imprima è una holding dedicata alla stampa e al finissaggio tessile finanziata da un pool di investitori guidati da Wisequity IV, fondo di private equity italiano gestito da Wise. Il battesimo di Imprima ha coinciso con l’acquisizione del 100% della tedesca Kbc e dell’italiana Guarisco, azienda comasca da 25 milioni di euro di turnover. Meno di sei mesi più tardi, il gruppo ha integrato anche il converter B-Blossom, 8,6 milioni di euro di ricavi, specializzato nella stampa dei tessuti, che lavora sia per l’alto di gamma sia per il fast fashion. Ed è solo l’inizio, promettono i due CEO, Chiaretto Calò e Paolo Gramaglia. In cassa, infatti ci sono oltre 30 milioni di euro destinati “ad altre acquisizioni nel settore, in Italia e all’estero”, ha sottolineato il management in occasione della presentazione della nuova creatura. Ma sui nomi preferisce mantenere il riserbo.
UN PASSO CON LA DONNA
Non sono solo le piccole realtà a sfruttare le occasioni sul mercato. A fine 2016 un big come il gruppo Ermenegildo Zegna ha annunciato l’acquisizione del 60% di Bonotto, azienda tessile vicentina, e del 33% della Bonottoeditions, un progetto innovativo dedicato a edizioni tessili speciali, di cui ha un 33% anche Cristiano Seganfreddo. Bonotto, con i suoi 30 milioni di euro di fatturato, è una piccola preda per un colosso come Zegna che muove un giro d’affari da 1,156 miliardi di euro (il dato si riferisce al 2016), ma è una pedina strategica Prima di tutto, per la tipologia di produzione. Bonotto è specializzata nelle collezioni donna, e questo aiuterà lo sviluppo delle linee femminili di Zegna, ambito in cui il gruppo è presente attraverso la controllata Agnona, acquistata nel 1999. Ma non è l’unico aspetto. La realtà tessile di Molvena (Vicenza) ha come cifra distintiva l’uso di tecnologie d’epoca e un ciclo completo, con il controllo diretto delle diverse fasi produttive, dalla tessitura al finissaggio. Si definisce ‘Fabbrica lenta’, ma l’operazione, seppur senza snaturare l’azienda, dovrebbe introdurre un approccio più industriale.
PER I BIG I GIOCHI SONO FATTI
Accanto ai poli emergenti, ci sono poi i gruppi che hanno già completato le operazioni di consolidamento, e ora stanno alla finestra per valutare le occasioni. Magari, compiendo un passo oltre confine. è la situazione di Zegna Baruffa Lane Borgosesia e del gruppo Marzotto, per i quali le operazioni principali che hanno contribuito a dare vita all’attuale assetto si sono susseguite dal 2009 al 2013. Nel caso di Zegna Baruffa Lane Borgosesia sia l’integrazione di Filatura di Chiavazza che l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario di Botto Poala sono datate 2009 e quest’ultima operazione, in particolare, si è conclusa nell’ottobre del 2016 con la fusione di Botto Poala nel gruppo. “Noi non intravediamo possibilità per ampliare il raggio d’azione perché il nostro tipo di offerta è già ampio, e non è nel nostro interesse andare a toccare dei segmenti più a valle che potrebbero creare competizione con i nostri clienti”, ha commentato Paolo Todisco, CEO del gruppo da 110 milioni di euro di ricavi e una produzione made in Italy suddivisa tra i tre stabilimenti di Borgosesia (Vercelli), Lessona (Biella) e Vigliano biellese. “Però – ha aggiunto – è indubbio che la situazione del tessile in generale è in divenire. Oggi sono i gruppi della moda a governare tutto ciò che accade nella filiera retrostante, rendendo così più difficile il lavoro per i lanifici e i filati. E questo ha dato il via alle aggregazioni, soprattutto per chi ha dimensioni contenute e non gode ancora di un respiro internazionale”.
L’ARRIVO DELLA FINANZA
La novità rispetto al passato sta nell’ingresso della finanza nel mondo del tessile. Sergio Tamborini, AD di Ratti e del gruppo Marzotto ci tiene a sottolinearlo. “Sicuramente il tessile ha ancora una valenza e ora si intravede qualcuno disposto a prendere posizioni, anche se la redditività in questo settore è più limitata rispetto ad altri. Parlare di euforia – ha precisato Tamborini – mi sembra eccessivo, direi piuttosto di un certo fermento. Anche se ancora a macchia di leopardo. Stiamo a vedere. Per esperienza, fare aggregazioni e gestire acquisizioni non è scontato. Servono idee chiare, uomini giusti, velocità e disponibilità economica”. Tutti elementi che il gruppo Marzotto, che oggi conta su un turnover aggregato di 446,1 milioni di euro di ricavi nel 2016, ha cercato di mettere a frutto nelle diverse operazioni che si sono susseguite negli anni. Dalla metà degli anni Ottanta, la crescita è stata infatti scandita da importanti acquisizioni: nel 1985 il Linificio e Canapificio Nazionale; nel 1987 la storica rivale Lanerossi; nel 1991 il lanificio Guabello; con importanti incursioni anche nel segmento a valle della filiera (Hugo Boss e Valentino poi scorporate per dedicarsi esclusivamente al business tessile). Nel 2008, hanno fatto il loro ingresso il lanificio Fratelli Tallia di Delfino, il lanificio G.B. Conte e ha acquisito il 100% del Linificio e Canapificio Nazionale mentre è del 2009 l’operazione con Ntb Nuova Tessilbrenta e la collaborazione col Gruppo Schneider. Nel 2010 il gruppo Marzotto ha preso la maggioranza della comasca Ratti, nel 2012 ha acquistato il 15% nella Pettinatura di Verrone, azienda biellese specializzata nell’attività di pettinatura di lane superfini, cashmere e vicuña e nel 2013 si è comprato la Redaelli Velluti e Niedieck specializzati nel velluto. Operazioni considerate strategiche per il gruppo, ma non tutte di facile gestione. “Ratti, per esempio, ha conseguito redditività nel bilancio, mentre abbiamo dovuto far fronte a una maggiore complessità nell’ambito del velluto”, ha ammesso Tamborini. Due anni fa, il gruppo ha riorganizzato il bouquet di marchi tessili raggruppandoli all’interno di tre società, Marzotto Wool Manufacturing per la lana; Marzotto Lab che include tutte le altre attività del gruppo diverse dalla lana e quindi cotone, velluto, coperte, filati di lino; e Ratti per la sua proposta seta. E per il futuro? “Mi sembra che in questo contesto le aziende siano ormai strutturate”, ha concluso l’AD del gruppo, “non intravedo grandi occasioni. Piuttosto, nel nostro caso, forse conviene guardare fuori dai confini nazionali e in particolare in Europa”.
di Milena Bello