Nel 1975, Betty Mabry cantava ‘Nasty Gal’, che significa ‘cattiva ragazza’. Il disco della seconda moglie di Miles Davis, però, non fu un successo, almeno non come quelli di suo marito. Negli anni a venire, tuttavia, ci fu una fanciulla che da quella canzone rimase colpita, così tanto che, una volta diventata grande, rubò quel titolo per dare un nome al proprio business. La ragazza di allora oggi è una bella trentenne. Si chiama Sophia Amouruso e gestisce Nasty Gal, appunto, il sito di Los Angeles specializzato nella vendita di abbigliamento femminile, calzature e accessori, vintage o nuovi, che in pochi anni si è trasformato in un autentico impero della moda da 100 milioni di dollari, punto di riferimento per migliaia di fashioniste in tutto il mondo. Eppure, da piccola, Sophia rubacchiava nei grandi magazzini e recuperava ciò che gli altri gettavano nel cassonetto della spazzatura, a scuola non era una cima, e con molta probabilità nessuno dei suoi professori avrebbe mai scommesso un dollaro su di lei.
Chissà cosa avranno pensato quegli insegnanti quando l’hanno vista comparire sulle riviste patinate, definita la ‘cenerentola del tech’ nientemeno che dal New York Times, e ‘il nuovo fenomeno della moda’ da Forbes. I numeri dimostrano il perché di questa attenzione: circa un milione e 200mila ‘mi piace’ su Facebook e un milione e mezzo di follower su Instagram. Le parole della stessa protagonista spiegano ancora meglio le ragioni di questo successo imprenditoriale. Tutto è raccolto nell’autobiografia #GirlBoss (appena uscita anche in Italia per Sonzogno Editori) in cui Sophia spiega come ha fatto a creare un impero commerciale partendo dal nulla. Si tratta di una storia di successo che può valere per tutti, o meglio, può essere uno stimolo per molti giovani che non hanno ancora saputo sfruttare la propria ‘stoffa’. Tra le pagine, Sophia difende la sua generazione dalle accuse di indolenza, incapacità di impegnarsi e fare sacrifici. Del resto, nella sua azienda la manager lavora con molte nuove leve, alle quali, probabilmente, ha spiegato che avere l’idea o l’intuizione non basta; lei, per esempio, in questi anni ha dovuto imparare cosa vuol dire fare marketing con un pubblico internazionale, a capire i gusti delle sue clienti, a muoversi velocemente, e a intuire subito cosa va e cosa no.
Così, Nasty Gal è diventato “una meta online globale per tutte le ragazze libere da pregiudizi, con uno spiccato senso per la moda”, come si legge sul sito. Il portale si è anche trasformato in un freestanding store, in Melrose Avenue, a Los Angeles. Infine, è nato pure un magazine, Super Nasty, una semestrale ispirato allo stile di Nasty Gal, che si pone come missione quelle di dare spazio ai talenti emergenti, oltre che mettere in comunicazione tutti gli appassionati del fashion.
Intanto, l’azienda cresce e per questo ha sempre più bisogno di figure specifiche per gestire ogni aspetto del business. Così, è stato appena nominato CEO Sheree Waterson, entrato nella società lo scorso anno come presidente e direttore del prodotto, dopo aver lasciato la sede di Vancouver di Lululemon Athletica Inc. L’arrivo di Waterson è solo uno dei colpi messi a segno dall’azienda lo scorso autunno, a cominciare dal nuovo chief financial officer Robert Ross (ex Urban Outfitters Inc.) e dal nuovo senior vice president Lina Kutsovskaya (ex Sephora). La fondatrice ha invece assunto la carica di chief executive officer. Perché tutto rimane sempre sotto l’occhio vigile della solita (cattiva) ragazza.