“I cambiamenti strutturali e le eccellenze locali rendono il back to Italy un trend che deve essere maggiormente comunicato, valorizzato e appoggiato nel prossimo futuro”. Ha esordito così Flavio Valeri chief country officer di Deutsche Bank, introducendo il diciannovesimo convegno Pambianco, questa mattina in Borsa Italiana, organizzato, appunto, con il gruppo bancario tedesco. Sul tema dell’evento “Back to Italy”, si sono espressi poi gli ospiti della prima parte della mattinata.
Dello stesso parere di Valeri anche Mario Boselli, presidente di Camera Nazionale Moda Italiana, che ha fatto notare come durante la crisi del 2008 le aziende che hanno retto meglio sono state quelle ‘full made in Italy’. “Di certo è finita l’epoca della delocalizzazione e questo sarà importante per tornare a valorizzare la nostra filiera, i cui testimonial migliori al momento sono Kering e Lvmh“, ha detto il numero uno di Cnmi. “Il back to Italy è una prospettiva realistica, ma ancora più realistico è il ritorno alla zona pan-europea nel suo complesso”. Quanto a chi produce in Cina, Boselli ha dichiarato di “non avere nulla contro”, ma allo stesso tempo ha ribadito l’importanza che “la produzione made in China sia chiara” perchè “i furbi sono un danno per il sistema”.
Dopo Boselli, a salire sul palco è stato David Pambianco, vice presidente di Pambianco Strategie di Impresa, che ha illustrato i risultati di una ricerca sul tema, da cui emerge che la quota media prodotta in Italia è rimasta stabile (da 52 a 53%) negli ultimi tre anni. Ma c’è una spinta a riportare a casa gli impianti: se il 56% prevede di mantenere lo stesso mix nei prossimi 3 anni, il 30% prevede invece di incrementare il made in Italy. L’analisi distingue tra le aziende di fascia alta e quelle di fascia media. “Sono le prime – ha spiegato Pambianco – che hanno oggi la forza, in termini di margini, per ritornare in Italia. Le altre hanno più difficoltà”. “Il lusso negli ultimi cinque anni è cresciuto del 30% e si stima che l’incremento sarà di un ulteriore 17% nei prossimi quattro anni”, ha aggiunto. Perciò questa parte del settore moda sta spingendo sulla rilocalizzazione. Le aziende di fascia media si stima “producano 1/3 dei loro prodotti in Italia e i 2/3 all’estero, in una sorta di scelta obbligata tra filiera italiana e manifattura estera”. Infine, sono stati identificati nella Cina, Romania e Turchia i primi Paesi esteri dove le aziende italiane vanno a produrre.
Sempre sul tema, Deutsche Bank ha presentato un’analisi sulla Borsa, dimostrando che il listino assegna un premio al fattore made in Italy.
Pwc ha presentato in anteprima un osservatorio sulla filiera, evidenziando un mondo che si sente fortemente indebolito, ma che dimostra anche una notevole consapevolezza sulla necessità di fare rete. La sintesi è quella di “accrescere la condivisione tra imprese”, per darsi una “visione comune”, e renderle le basi per un piano strategico-industriale di lungo periodo, come negli Usa, che favorisca la rilocalizzazione e la valorizzazione di progetti locali, ha detto Erika Andreetta, partner di Pwc.