Secondo uno dei numerosi miti e leggende che popolano l’industria orologiera svizzera, dietro alla nascita del Royal Oak di Audemars Piguet, il primo e tra i più famosi segnatempo disegnati da Gérald Genta che hanno fatto la storia, c’è un palombaro. E c’è il lago di Ginevra, patria del leggendario designer di orologi, venuto a mancare poco più di tre anni fa, il 17 agosto 2011.
La storia, peraltro riportata sul sito internet di Audemars Piguet, narra che, alla vigilia della Fiera di Basilea del 1971, Gérald Genta abbia ricevuto, alle quattro di pomeriggio, una chiamata dal direttore generale dell’epoca della casa orologiera di Le Brassus, Georges Golay. Il mercato italiano aspettava un “orologio in acciaio senza precedenti”, disse Golay a Genta, e lui ne voleva uno schizzo per la mattina dopo. Golay aveva in mente “un orologio sportivo per tutte le occasioni, con le migliori rifiniture mai viste”.
Genta, ginevrino di origini italiane, con già all’epoca all’attivo diverse creazioni per marchi di gioielli e segnatempo, dunque, aveva solo una notte per un progetto che avrebbe di norma richiesto varie settimane di tempo e centinaia di schizzi. Di prima mattina, il bozzetto dell’orologio rispecchiava perfettamente l’idea da cui aveva (si dice) preso ispirazione Genta: quella della testa di un palombaro con indosso una muta antica, con il casco chiuso da viti, che il creativo svizzero aveva visto nelle acque del lago di Ginevra.
Il Royal Oak disegnato da Genta in una notte non assomigliava a niente di ciò che era stato fatto nell’orologeria fino ad allora. Innanzi tutto, era audace il concept: un orologio sportivo in acciaio di lusso, più caro di molti in oro, prodotto da un marchio conosciuto all’epoca soprattutto per preziosi modelli sottili e ultrapiatti. Ma la vera rivoluzione era nel design, visto che per la prima volta la cassa e il bracciale erano progettati come un tutt’uno. Inoltre, l’acciaio prevedeva rifiniture e trattamenti tanto precisi e raffinati quanto quelli per l’oro e le viti. In bella mostra sulla ghiera, si stagliavano contro la tradizione che le componenti dovessero essere nascoste.
Dopo un dibattito interno, Golay convinse Audemars Piguet – allora piccola ma rispettata manifattura che produceva circa 5.800 pezzi all’anno – a credere nel progetto del designer e lanciare una serie limitata di mille pezzi. Alla Fiera di Basilea del 1972, ha raccontato al Financial Times Martin Wehrli, oggi direttore del museo dell’heritage di Audemars Piguet e all’epoca giovane venditore, “tutti quelli che lo vedevano (il Royal Oak, ndr) dicevano che era tremendo e dopo essersi allontanati di 10 metri dicevano: ‘Tra sei mesi li compriamo. Andranno in bancarotta’”.
Ma non fu così. Con il Royal Oak Genta creò un vero e proprio segmento del mercato, quello dell’orologio sportivo di lusso, più esclusivo rispetto a Rolex, che fino ad allora aveva dominato la scena delle lancette sportive ed era forse l’unico brand divenuto uno status symbol, soprattutto in mercati dal ‘palato’ molto sensibile all’orologeria come l’Italia e la Francia. E così, alla fine della seconda metà del decennio, tutti i brand di alta orologeria avevano in collezione un modello per competere con il Royal Oak. Autore, per molti di essi, lo stesso Gèrald Genta.
A lui la manifattura ginevrina Patek Philippe deve il suo più grande successo, il Nautilus, lanciato nel 1976. Ma anche il Constellation e il Seamaster di Omega sono opera sua, così come il Bulgari-Bulgari, la riedizione dell’Ingenieur di Iwc, e molti altri.
Negli anni Ottanta, poi, lo ‘stilista dell’orologeria’ ha applicato la sua creatività al marchio che porta il suo nome (poi ceduto a Bulgari, mentre Genta ha continuato con il marchio Gerald Charles) e si è dedicato a progetti su commissione per clienti privati, tra cui il Sultano del Brunei.
Tuttavia, un po’ come il genio della moda Karl Lagerfeld, che trasforma in oro quello che tocca in maison come Chanel e Fendi mentre il suo brand è rimasto un business più contenuto, anche i modelli con il marchio Gerald Charles non hanno conosciuto la stessa universale fama dei segnatempo creati per altri marchi.
Resta il fatto che il signore magro, baffuto, visionario e descritto da tutti come un ‘gentleman d’altri tempi’, è passato alla storia come uno dei pilastri dell’orologeria moderna. Passione che, probabilmente, non avrebbe mai abbandonato anche se, come più volte dichiarato prima della sua morte, aveva intenzione di dedicarsi all’arte, suo amore fin da bambino. ‘Da grande’, lo stilista delle lancette voleva fare il pittore.