Quando riemergono, dopo un anno trascorso nella profondità degli abissi, portano addosso i segni della vita che pulsa nei fondali. Crostacei, alghe, conchiglie e altre specie viventi contribuiscono tutte assieme a realizzare etichette sorprendenti, che la fantasia umana non sarebbe in grado di riprodurre nemmeno ricorrendo ai più moderni programmi di grafica: non c’è supporto, non c’è inchiostro. Mai una bottiglia uguale all’altra. Il copyright appartiene a Madre Natura, che lo imprime direttamente sul vetro. Dentro, come per miracolo, il vino ha compiuto il suo ciclo di maturazione, cullato dal movimento naturale delle onde e favorito da una serie di condizioni offerte dalla cantina subacquea: temperatura ideale e omogenea, bilanciamento di pressione, buio quasi assoluto. Ora è diventato spumante. Il resto lo fa l’uomo, scegliendo la più suggestiva tra le infinite possibilità che il mare gli offre per custodire il proprio nettare di Bacco, la location blu cobalto.
Il terzo millennio del vino si apre a 40, 60 metri di profondità, tra sommozzatori che depositano casse sigillate contenenti decine di bottiglie, e successive operazioni di recupero talvolta complesse. La cantina subacquea, del resto, ha i suoi pro e contro: accedervi diventa impegnativo, in cambio però si ottengono garanzie di sicurezza (occorrerebbero ladri particolarmente organizzati per realizzare il “colpo”), risparmio di energia (il movimento del mare sostituisce quello creato all’interno delle cantine tradizionali con metodi meccanici) e quel valore aggiunto su cui può far leva il marketing. È un vino buono e al tempo stesso romantico, evocativo. “Questa moda di conservare i vini sott’acqua – spiega Attilio Scienza, docente di Enologia all’Università di Milano, autorità nel settore – nasce dal ritrovamento di bottiglie del diciottesimo secolo in relitti di navi affondate e dalla constatazione che il vino si era mantenuto in buone condizioni. Hanno giovato alla conservazione la bassa temperatura delle profondità del mare e l’assenza di ossigeno, naturalmente a condizione che i tappi abbiano tenuto”.
Certo, tale conservazione, evidenzia il docente, potrebbe essere riprodotta a terra con l’impiego di una stanza termo-udo-condizionata, che crea un’atmosfera perfetta per temperatura e umidità, ma vuoi mettere l’impatto nell’immaginario collettivo? Infatti, le iniziative di produttori e ‘affinatori’ si stanno moltiplicando, coinvolgendo peraltro grandi brand del settore quali Veuve Clicquot che ha depositato nel mar Baltico, accanto al relitto di una nave affondata nel 1880, un contenitore di Champagne per monitorare il processo di invecchiamento e compararlo con gli stessi vini ottenuti dall’invecchiamento nelle cantine tradizionali di Reims.
In Italia, c’è chi ha rotto da tempo gli indugi, scommettendo sulla “sea cellar” come modello imprenditoriale identitario. Tenuta del Paguro (www.tenutadelpaguro.it) prende il nome da una piattaforma mobile creata dall’Agip di fronte a Ravenna per estrarre il metano e affondata drammaticamente mezzo secolo fa; il relitto è diventato oasi sottomarina, tutelata dal 1995, ed è stato scelto nel 2010 da Gianluca Grilli e Raffaele Ravaglia, imprenditori ravennati, come cantina naturale a una profondità di 25-30 metri per custodire i loro vini, ‘battezzati’ con nomi di crostacei (Paguro, Canocchia, Astice e Scampo) e ottenuti da vitigni tipici romagnoli (Albana e Sangiovese) e internazionali (Cabernet e Merlot). “Lo scorso anno ne abbiamo vendute 300 bottiglie – racconta Grilli – e il risultato è stato eccellente. Ora duemila sono già pronte per la vendita e ad aprile abbiamo depositato la nuova annata”. Un loro vino, confezionato con un prezioso packaging di pino marittimo e acciaio e con tanto di certificato di autenticità, costa circa 100 euro al pubblico (150 il Sangiovese riserva Pagurus).
La baia tra il faro di Portofino e Cala dell’Oro, in Liguria, è invece il luogo scelto per la spumantizzazione subacquea da Piero Lugano, titolare dell’azienda vinicola Bisson, primo in Italia ad aver avviato questo metodo di invecchiamento. Sostiene di averlo fatto per necessità. “Sono un ex docente di storia dell’arte che, per passione viscerale, ha abbandonato l’insegnamento per diventare produttore di vini, dedicandosi al recupero di vitigni liguri autoctoni. Il mio sogno? Realizzare uno spumante. Poi, una volta ottenuto, mi resi conto che non disponevo di una cantina adeguata per la spumantizzazione. Fu allora che si accese una lampadina, pensando ad alcune mie ricerche sul mondo sommerso e al ritrovamento di antiche imbarcazioni che trasportavano anfore di età greco-romana contenenti vino perfettamente conservato”. Iniziata nel maggio 2009, con la posa nel fondale di Cala degli Inglesi di 6.500 bottiglie in 12 gabbioni, l’esperienza di Abissi–Riserva Marina di Portofino (questo il nome del vino) ha attratto pubblico e media, con particolare successo negli Stati Uniti grazie anche alla pagina intera che vi ha dedicato il New York Times. “Facciamo solo spumante, utilizzando uve autoctone di Vermentino, Bianchetta e ora Cimixià da noi coltivate, perché riteniamo che sotto il mare ci siano le condizioni ottimali per la spumantizzazione: clima, luce, pressione, umidità, assenza di ossigeno e anche il movimento naturale delle correnti, che mantiene in sospensione le cosiddette fecce nobili”. I numeri sono importanti: erano partiti da 6mila bottiglie l’anno, ora sotto il mare ne “riposano” circa 20mila e da alcuni mesi si trova in vendita anche il rosè. Il prezzo è sui 40 euro circa in enoteca, ma può variare in base alla bellezza della singola bottiglia, diventata oggetto per collezionisti.
Le esperienze si diffondono e si moltiplicano. Alessandro Corbo e Fabio Ravizza ottengono il loro Lagunare, vino prodotto dall’azienda di Ornella Molon, depositando per sei mesi l’intera barrique da 235 litri nelle acque della Laguna di Caorle (Venezia) dove cacciava Hemingway. Il lago d’Iseo è stato scelto da Alex Belinghieri, titolare dell’azienda bresciana Agricola Vallecamonica, per produrre il suo Nautilus CruStorico (24 mesi sul fondale di Monte Isola). Nei Paesi Baschi è stato creato Lseb, un vero e proprio laboratorio/cantina sottomarino per studiare scientificamente ciò che avviene durante l’invecchiamento in fondo al mare. I francesi non sono rimasti a guardare e Bruno Lemoine, direttore della Chateau Larrivet Haut-Brion, ha affidato all’Oceano Atlantico una botte di Bordeaux 2009 per osservarne e compararne l’invecchiamento rispetto a quello effettuato in superficie. L’esito non ha lasciato dubbi: meglio l’Atlantico.
Se un indomani, mentre siete seduti in spiaggia osservando l’orizzonte marino, la risacca vi portasse in dono una bottiglia dal vetro incrostato di salsedine, potrebbe davvero contenere la mappa del tesoro. Anzi, direttamente un assaggio del tesoro.