Venezia continua a far scorrere fiumi di turisti attraverso i suoi ponti, nonostante le sconcezze del modello politico italico. E intanto trova miracolosamente lo spazio (reale e logistico) per accogliere ogni anno eventi di portata globale come le Biennali. Quest’anno tocca all’Architettura, normalmente un evento per iniziati, fatto di mostre spesso autoincensatorie di archistar egoiche. Rem Koolhaas, invece, l’istrionico direttore artistico di questa edizione, ha pensato bene di restituire umanità e senso del quotidiano a una disciplina che spesso si presenta abbottonata tra le cricche dei suoi seguaci. Decine di mostre ufficiali e collaterali, non solo ai Giardini o all’Arsenale, ma anche sparse nel ‘fuori Biennale’ tra i canali, e un unico tema per tutte: Fundamentals e Absorbing Modernity: 1914-2014, il ritorno ai fondamenti, ai principi costitutivi della nostra contemporaneità, alle finestre, ai muri, ai condomini, all’aperto, al chiuso.
Finora i vari commissari dei singoli paesi partecipanti venivano semplicemente informati (tardi) del tema della “Mostra del curatore”. Questa volta il curatore, invece, ha dato un argomento a tutti, suggerendo la nascita di una gigantesca globale ricerca collettiva, una coralità che fotografa e significa quanto costruito nel mondo moderno. Perché mostre-ricerca? Perché tra eccessi e conformismi, depressioni e involuzioni, l’architettura sente di non aver trovato buone risposte. Quindi, con coraggio e ambizione, ricerca e analizza, passando al ri-esame ciò che ha fatto finora. La sensazione che si prova dopo un lungo attraversamento degli spazi istituzionali e dei padiglioni nazionali è quella di un salutare disorientamento di fronte alla scelta evidente di non volere offrire ricette preconfezionate. “Questa Biennale è figlia dei due secoli appena passati; le luci dei grandi sogni si sono spente”, dice Paolo Baratta direttore di tutte le Biennali veneziane (oltre all’architettura, la Danza, l’Arte, il Cinema, la Musica, il Teatro). L’architettura non sogna più futuri imprevedibili e si accontenta di futuri possibili e necessari.
Questi i Leoni, rigorosamente non ufficiali, assegnati da Mood alle mostre più intriganti.
1) Padiglione del Canada “Arctic Adaptations: Nunavut at 15”
2) Marocco ‘Fundamental(ism)s’
3) Albania ‘Potential. Monuments of Unrealised Futures’
4) “Something now for the future”
5) ‘Sales Oddity. Milano 2 and the Politics of Direct-to-home TV Urbanism’
1. Padiglione del Canada “Arctic Adaptations: Nunavut at 15”
Location – Giardini
Nunavut, termine che significa “la nostra terra”, è il territorio più recente, più vasto e più settentrionale del Canada. È stato diviso dai Territori del Nord-Ovest il 1 aprile 1999. Circa 33.000 persone vivono su due milioni di chilometri quadrati, sopra il limite della vegetazione e senza strade. Il Nunavut mette alla prova la fattibilità di una modernità che si vuole universale. Piccoli insediamenti stanno emergendo come città artiche. Qualcuno ha descritto questo rapido incontro con la modernità come una transizione “dagli igloo a internet” compressa in 40 anni. La mostra documenta la storia architettonica di questa straordinaria, ma relativamente sconosciuta regione del Canada.
2. Marocco ‘Fundamental(ism)s’
Location – Arsenale
Dai ghiacci alle sabbie sahariane. Per la prima volta presente alla Biennale, il Marocco esplora gli approcci radicali e sperimentali rispetto alle possibilità di abitare il deserto. Il territorio marocchino ha suscitato ricerche architettoniche uniche (costruttive e materiali, formali e architettoniche, ma anche di edilizia privata e sociale) che hanno contribuito in modo tangibile alla Storia dell’architettura. Sei studi locali e internazionali sono stati invitati a proporre progetti (tra i nomi troviamo Stefano Boeri Architetti, Bom architecture e Bao + Ultra Architettura) per riflessioni contemporanee su strutture abitabili nel deserto del Sahara. Un territorio ‘ai limiti’ che esige un’interrogazione sui modi di integrazione tra architettura e infrastrutture ai margini.
3. Albania ‘Potential. Monuments of Unrealised Futures’
Location – Sale d’Armi, Arsenale
Questo Padiglione piace per il lavoro di uno degli artisti contemporanei più brillanti, l’albanese Adrian Paci, con la sua video installazione ‘The Column’. Adrian rivela un nuovo modo di leggere i percorsi interrotti della modernità in Albania, i futuri non realizzati, le promesse disattese. Una colonna da blocco di marmo ha viaggiato senza meta a bordo di una nave-officina, trasformandosi in pilastro corinzio. Ma una volta completata, la colonna rimane in stato di in-potenza, di perenne tensione, e si incaglia nel giardino fuori dell’Arsenale.
4. “Something now for the future”
Location – Spazio Thetis
Mostra indipendente, che presenta l’opera di Michelangelo Pistoletto ‘Terzo Paradiso – Coltivare la città’ sul rapporto uomo-natura. Concepita e curata da Fortunato D’Amico con n.o.v.a. civitas Cittadellarte, e realizzata sul simbolo del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, è simbolo di rigenerazione del territorio. Si tratta di una struttura a tre cerchi, collocata nel grande giardino e realizzata con oltre 1.800 mattoni di recente ritrovamento in loco, oltre a un grande orto urbano per la cui piantumazione e cura saranno coinvolti bambini, ragazzi, anziani uniti nella coltivazione come metafora di una nuova crescita.
5. ‘Sales Oddity. Milano 2 and the Politics of Direct-to-home TV Urbanism’
Location – Corderie dell’Arsenale
Alle Corderie dell’Arsenale, troviamo l’Italia dissezionata e analizzata da 41 ricerche ad hoc, per ricordarci che, nonostante tutto, la nostra realtà continua ad essere paradigmatica ed esemplare di quanto avviene in altre parti del mondo. Tra i vissuti rappresentati, una vera chicca è la riflessione messa in atto da questa mostra che tratta di un ‘famigerato caso’ italiano, del potere dei media, dell’occupazione sia economica che politica in nome di un’ideologia neo-liberale.