Il binomio moda e design ora si traduce in un riavvicinamento dei profili formativi nelle scuole – l’obiettivo è porre le basi per la creazione di una comunità professionale più consapevole e integrata – è il mercato che lo chiede Abito e abitare. Disegnare un vestito e l’arredamento di un interno non è mai stato così simile, specialmente sui banchi di scuola. La moda e il design, infatti, che pure si sono sempre sfiorati e contaminati, oggi stanno acquisendo identità comune su vari livelli: comunicativo, produttivo, artistico e anche commerciale. Questa affinità inizia a esprimersi anche attraverso il riavvicinamento dei profili formativi nelle scuole di design. Se è vero che molti di questi istituti hanno sempre offerto i corsi incrociando i due ambiti, alcuni iniziano a proporre una vera e propria ibridazione. La questione, dunque, riguarda le giovani generazioni, gli studenti che si preparano ad affrontare il mondo del lavoro sempre più competitivo, che oggi non pretende più una semplice infarinatura delle diverse discipline, ma competenze specifiche su diversi fronti, e quindi un metodo e un bagaglio il più completo possibile. Si sta aprendo, insomma, la frontiera della cosiddetta professione verticale, che cerca profili abituati a leggere diversi contesti e in grado di trasferire le tecnologie da settore a settore. Una vecchia conoscenza L’incontro tra le due sfere, di fatto, si manifesta come una evoluzione naturale del loro rapporto, perché “il connubio tra moda a design – spiega Antonello Fusetti, direttore della Scuola Politecnica di Design di Milano, l’hub che dal 1954 aggrega artisti, designer, professionisti e studenti da tutto il mondo – è connaturato ai due comparti. Il design può dare molto alla moda, e cioè il suo approccio progettuale, utile per realizzare il packaging, gli accessori, e l’ideazione degli eventi, ad esempio. D’altra parte, la moda, abituata a studiare quattro collezioni all’anno, può insegnare la velocità e i suoi stilemi, oltre che la capacità di fare squadra, tipica dei marchi che si stanno raggruppando sotto l’ombrello di grossi gruppi”. Il pericolo che però si può creare negli istituti, a livello didattico, è che chi ha sempre fatto un mestiere si improvvisi in un altro: “Io penso – prosegue Fusetti – che ognuno sappia fare il proprio lavoro. Per esempio, se io dovessi decidere di insegnare moda, probabilmente acquisirei una scuola del settore”. La moda che scommette sul design Secondo alcuni, invece, il metodo è addirittura lo stesso, perché il design sta diventando un processo di moda. È questa la filosofia dell’Istituto Marangoni, la scuola conosciuta in tutto il mondo per la sua ottuagenaria esperienza nell’insegnamento del fashion, e che adesso ha voluto scommettere sul design, con una nuova sede milanese, in via Cerva, a pochi passi da quella storica. “L’approccio progettuale – spiega il direttore Massimo Zanatta – è lo stesso. Si parte dall’idea creativa e poi si passa alla tecnica. Il nostro è un processo più emozionale rispetto a quello del design classico, che consiste nel vestire i luoghi che si vivono, come si fa con gli abiti per il corpo”. La nascita di un nuovo polo di 2.500 metri quadrati à cotè di quello di moda, che sarà sotto la direzione creativa di Giulio Cappellini, arriva adesso “perché è un momento di crisi – aggiunge Zanatta – in cui è necessario rilanciare le eccellenze italiane”. La scuola, che ha avviato i corsi lo scorso febbraio, convoglierà qui tutte le discipline del settore, anche quelle in passato programmate nell’altro edificio milanese e nelle sedi all’estero (Parigi, Londra, Shanghai) trasformando quello di via Cerva in un unico grande campus. Basta scorrere i corsi e i master per accorgersi che la contaminazione è già cominciata. C’è quello per disegnare gli accessori, i gioielli, gli oggetti per la casa, il packaging e persino un progetto di immagine o di comunicazione digitale per i brand di moda. “Alcuni corsi sono molto collegati tra loro – sottolinea il direttore – e per il momento lo scambio avviene tra i docenti, anche se abbiamo in programma di proporre materie culturali che abbraccino al contempo entrambi i settori”; l’idea di fondo, però, rimane che ogni studente debba sì avere una infarinatura su tutti i fronti, ma che poi “debba scegliere un settore specifico e specializzarsi”.
I corsi ‘condivisi’ Un ponte tra i due mondi c’è sempre stato all’Accademia del Lusso di Milano che, dal 2005, prepara i suoi studenti a entrare nel sistema dei grandi marchi della moda, del lusso e dell’alto di gamma. I docenti di fashion e di interior, infatti, hanno la vecchia abitudine di scambiarsi le proprie esperienze, come racconta Massimo Donizelli, professore di Interior Design presso l’istituto, tanto che nel corso di questi nove anni le due realtà si sono spesso incontrate, fino a dare vita, nel 2014, a una vera e propria fusione. “Quest’anno abbiamo lanciato nuovi laboratori in comune tra le due didattiche – spiega Donizelli – nei quali, per la prima volta, gli studenti delle materie storiche di Interior Design, Visual Merchandising e Retail Management potranno incontrarsi e condividere gli stessi insegnamenti”. Questi ‘corsi condivisi’ “permetteranno agli studenti di scambiarsi le proprie esperienze – interviene il responsabile didattico di Accademia del Lusso Ambra Cantalupo – un’opportunità importante per aiutarli a entrare con più facilità nella realtà professionale, come ci rivelano le analisi che effettuiamo sul mercato nell’individuare l’offerta formativa”. Un esempio è il corso di Fashion Visual Merchandising, un percorso trasversale che fa incontrare chi arriva dal mondo del ‘visual’, che comprende lo studio della comunicazione dello spazio commerciale, con quello dell’’interior design’, e cioè il settore della progettazione pratica. Il risultato è un ‘retail designer’, ossia una figura che fa da collante, capace di padroneggiare entrambi gli aspetti. Ragazzi, imprenditori di se stessi Se l’approccio didattico si sta evolvendo sulla spinta di un mondo professionale più esigente, cambia anche l’atteggiamento degli studenti, che diventano (o sono costretti a diventare) sempre più imprenditori di se stessi: “Stiamo vivendo – commenta la direttrice della Fashion School di Domus Academy Barbara Trebitsch – un profondo mutamento sociale. Infatti, fino a sette/otto anni fa, la massima ambizione dei nostri studenti era entrare in una casa di moda importante, oggi invece l’obiettivo è inventarsi un lavoro”. Così, i corsi offerti dalla scuola rappresentano una base culturale grazie alla quale imparare a costruire il proprio cammino. Risponde a questa esigenza, per esempio, la possibilità Domus Academy offre agli iscritti di costruirsi ognuno, in totale autonomina, il 20% del piano di studi, scegliendo tra le discipline di lusso, moda e design. Le materie rimangono separate, ma i ragazzi possono affiancarle lungo il personale percorso. Inoltre, sono nati corsi dedicati proprio al tema ‘come fare impresa’.
Tesi di laurea trasversali I punti di contatto, dunque, sono sempre più evidenti lungo il cammino degli studenti. E anche al termine del cammino studentesco. Ci sta pensando l’Istituto Europeo di Design (Ied), la scuola internazionale nata nel 1966 con il design e la fotografia, e che nella moda ha un’esperienza di trent’anni. “L’ibridazione – precisa il direttore Ied Milano Emanuele Soldini – è una delle linee di sviluppo su cui stiamo lavorando già da qualche anno e adesso vorremmo lanciare delle tesi finali di laurea ‘trasversali’”. Attualmente gli studenti possono già scegliere, per i propri progetti, anche argomenti lanciati da facoltà diverse dalla propria e che fanno sempre parte di Ied. “Se oggi questa possibilità è legata alla richiesta del singolo studente – continua Soldini – abbiamo intenzione di lanciare il progetto con una sua precisa identità”. Moda e design, insomma, non sono più destinate solo a incrociarsi nei corridoi delle scuole, né ad essere compagne di aula o di corso, ma si prendendo a braccetto persino di fronte alla commissione di laurea, l’ultimo traguardo prima di buttarsi nella professione.